27 aprile 2012

Oggi è venerdì, domani si muore

Non sono la terapia, sono il male
Non sono la cura ma la malattia

Non sono mattine di sole,
sono catene oscure
Non sono luce, ne festa di liberazione

Ineludibile nell'adattare me stesso
ai segnali smorzati nell'andare
di passi incrinati

Esser aria che intorno si scosta
e ti protegge con virtù nascosta

Spazziamo l'incubo che, stolti!, 
speriamo sia vita
Arrendevoli sotto i dardi
di gioia non goduta

22 aprile 2012

Donne: manuale di sopravvivenza


Tipo 1: La dea della disperazione alcolica (quella con cui, tempo addietro, hai scambiato effusioni sessuali e poi non hai più frequentato).
Si ripresenta dopo essere stata lasciata dal fidanzato che pensava sarebbe diventato compagno di una vita. Vagamente ubriaca, ti abbraccia e ti parla a due centimetri dalla faccia facendo proposte quasi oscene. Le alterna a frasi del tipo “e poi mi ha lasciato, quello stronzo”. E tu la guardi e ti chiedi cosa sarebbe il caso di dire.
Ci possono essere tre risposte tipo:
1.la qualunquista: non ti meritava
2.la veritiera: te credo!!! Dopo cinque minuti passati con te anche un convegno sulle prospettive future dei giovani cambogiani sembra molto interessante
3.la triste da non usare mai (per portarsela di nuovo a letto): posso consolarti io
Io opto per un silenzio qualunquista e reale e che non esclude il “ritorno”.

Tipo 2: La straniera (quella che si capisce che vorrebbe scambiare effusioni sessuali).
La conosci da qualche anno e hai mantenuto sempre un rapporto socialmente professionale. Cioè, non ha mai dato segni di volere andare al di la di una bibita, di giorno ed in luogo affollato.
Quella che potremmo definire un pseudo-amicizia a tempo perso senza secondi fini.
Costei, invece, ti ricontatta perché offesa del fatto che non le hai prestato particolari attenzioni. Il tutto in una situazione nella quale l’unica cosa che vi unisce è chi versa la birra al bancone.
Dopo la recriminazione tu, povero inetto, resti a chiederti: se non è mai successo in questi anni, ha bisogno di uno schema per capire che non se ne farà mai di niente? E ti autoconvinci che venga da un paese estero con usanze sociali dissimili dalle tue.

Tipo 3: Le fanS
L’amico ti preleva da amichevoli chiacchere dicendo “ti porto dalle fie che ti vogliono conoscere”. Già la frase di per se crea l’idea di una gita da un ginecologo amico suo. E poi, è proprio il termine “fie” che non sopporto. Cos’è? La parte per il tutto?
In più, non sai mai cosa dire in queste situazioni. Ti vogliono conoscere per sapere il tuo punto di vista su questioni filosofiche di importanza capitale per il mondo? Nella realtà, si limitano a dirti che assomigli all’attore Tizio o all’attore Caio e tu scuoti la testa. Questo è il segnale che le obbliga a dire “macomenontelohamaidettonessuno?!?!”. Come se la popolazione mondiale che incroci non avesse altro da fare. Mentre, in verità, tu pensi di essere un Sempronio qualsiasi.

Tipo 4: Miss De ja-vù (quella che non ti vuole)
È sempre esistita. Ha cambiato aspetto e nome negli anni ma alla fine, col passare del tempo, assomiglia a tutte le altre portatrici del vessillo regale del diniego.
Ma che ci possiamo fare? Niente. È sempre un piacevole de ja-vù!

G-Luck, Folks!

13 aprile 2012

Alcune verità

  1. non andare mai dal barbiere la mattina dopo una sbronza colossale e con poche ore di sonno alle spalle…
  2. se il buon giorno si vede dal mattino…questa sarà una giornata di merda
  3. non vendere mai la pelle dell’orso…al mare
  4. correre è inutile quando si sa che prima o poi bisogna fermarsi
  5. meglio riflettere e poi specchiarsi
  6. mai darsi per vinti ma nemmeno vincenti
  7. Ad ogni azione deve corrispondere una reazione. Possibilmente più forte e incisiva
  8. Scoparsi una di destra è fottere i fascisti dall'interno

12 aprile 2012

No matter how cold the winter...

Sarebbe bello riuscire a fare una lista degli errori commessi. Potrebbe essere utile. Ma anche no.
Perchè sono vivo e ho voce e mani per dare vita a canzoni. Di altri o mie.
E poi le risento e sto bene.
Un benessere diverso da quello dell'esecuzione ma si tratta sempre di vibrazioni positive.
Durante un'esibizione devo stare attento a chi suona con me, buttare un occhio alla gente davanti, evitare di fare errori o di esagerare. Ogni tanto ci sono degli istanti in cui mi ritrovo ad esser parte di un unico organismo regolato dalla musica. Può essere una frase. Oppure una nota. O uno sguardo con qualcuno. A volte, un movimento con il braccio o con la mano. Si accende una spia nella testa, di colore verde, che mi dice che va tutto bene e che la via è quella giusta.
Risentendomi, invece, evitando di far troppo la conta degli errori o delle cose migliorabili, si avvia un senso di deja-vù con cadenza fluttuante tra presente e passato. E, in alcuni momenti, ritorna netta la sensazione di esserci per restare. Perchè niente e nessuno potrebbe smuovermi da quella melodia.
Perchè mi basta una chitarra o semplicemente la mia voce e sono contento così. Aver imparato un modo di esprimermi che può raggiungere chi ascolta ma, cosa più importante, raggiunge me stesso. Dentro. In profondità.
E va bene così.
E alcune canzoni mi dicono che andrà tutto per il meglio.
Tutto il resto serve come sfondo. Mentre resto piantato in terra con i piedi ben saldi e la testa lucida e pronta.
E, tra una frase e l'altra, quello che conta è solo respirare.

9 aprile 2012

Cinque Versi - Pearl Jam #2


Vacate is the word...vengeance has no place so near to her
 (Immortality)

 “You're an angel when you sleep...
How I want your soul to keep of and all around the bend
 (Around The Bend)
I am ahead, I am advanced
I am the first mammal to make plans, yeah
I crawled the earth, but now I'm higher
Twenty-ten, watch it go to fire
It's evolution, baby
(Do the evolution)
And fuck me if I say something you don't wanna hear from me
And fuck me if you only hear what you wanna hear
Fuck me if I care,... but I'm not leaving here
(Save You)
 
It's an art to live with pain,... mix the light into grey...
(Love Boat Captain)

8 aprile 2012

Cinque Versi - Pearl Jam


Oh, dear dad, can you see me now?
I am myself, like you somehow
(Release)

Escape is never the safest path
(Dissident)

My god it's been so long, never dreamed you'd return
But now here you are, and here I am
Hearts and thoughts they fade...away...
 
(Elderly woman)

I'll swallow poison, until I grow immune 
I will scream my lungs out till it fills this room
(Indifference)

Nothing's changed, but the surrounding bullshit, that has grown...
(Off He goes)

Dreams & Visions #2


Sono nell’androne di un palazzo vecchio. Meglio dire, storico.
Dove raggiungere il tuo appartamento.
Le scale, all’inizio normali, diventano sempre più impervie. Prima strette, poi ripide. Poi passano attraverso alcuni cunicoli.
Devo reggermi al muro, abbassarmi, inginocchiarmi, quasi sdraiarmi.
Arrivo al piano più alto dell’edificio, senza trovare casa tua, e mi ritrovo in una camera da letto dove una coppia dorme.
Le pareti ed i mobili sono bianchi, così come le lenzuola. Tutto candido e luminoso.
I due si svegliano e mi guardano. Chiedo scusa e mi giustifico, dicendo che mi sono perduto.
Mi dicono di non preoccuparmi e che la cosa importante è conoscere cosa si vuole per potersi ritrovare.
Inizio a scendere. Scivolo. Cado dalle scale, rotolando senza sentire dolore, solo il rumore di ossa in frantumi e pelle che si lacera.
La caduta si arresta su qualcosa di morbido. Apro gli occhi.
Sono seduto su un divano rosso, in un bel salotto. E tu sei accanto a me e mi guardi.
Provo a spiegarti il perché della mia presenza ma il tuo sguardo mi fa capire che già lo sai.
Hai, finalmente, già capito tutto.
Mentre sono indeciso su cosa fare, entrano, ridendo, i tuoi genitori.
Provo imbarazzo e, di nuovo, sono pronto a dare spiegazioni non necessariamente richieste.
Loro, invece, mi salutano come se fosse normale trovarmi lì. Come se fossi una presenza definita e consueta.

Apro gli occhi. Sono le 8:12 della mattina di pasqua e non ho più voglia di dormire e sognare.

7 aprile 2012

Cinque Luoghi

1.Tarifa, Spagna. 1995
2.Isla Mujeres, Messico. 2010
3.Tokio, Giappone. 2009
4.Parigi, Francia. 1997
5."casa"

6 aprile 2012

3 years ago...

Aveva messo i bambini a letto. Non sapeva che sarebbe successo. Tutti lo avevano rassicurato che non c'era alcun pericolo. Ricorda che le chimavano "scosse di assestamento". Una cosa normale, niente di grave. Sapeva che l'Italia era zona sismica e che alcuni lievi fenomeni erano alquanto frequenti.
Ogni tanto pensava che, in passato, in altre parti del paese, c'era stati episodi drammatici legati ai movimenti della terra ma confidava nella scienza e nella tecnologia che usava.
Prima di andare a dormire, aveva finito di vedere un film in dvd. I bambini ormai dormivano ma teneva il volume della tv contenuto per non svegliarli.
Li aveva salutati come sempre. Un abbraccio, un bacio, un "buonanotte", un "andate a letto che domani c'è scuola".
Domani non ci sarebbe stata scuola. Domani non ci sarebbe stata la sua casa. Non ci sarebbe stata la sua città.
E, cosa che non avrebbe mai immaginato, non ci sarebbero stati i suoi figli a ridere con i compagni di classe, a camminare quelle strade.
Schiacciati dal crollo di una parte dell'appartamento che un tempo chiamava Casa.
Nei giorni successivi la disperazione si era mischiata alla voglia di ricostruire e di veder ricostruite le sue strade ed i suoi palazzi.
La rabbia era sgorgata inesorabile di fronte alla certezza che chi aveva promesso di aiutare le persone come lui, preferiva spostarle in altro luogo piuttosto che far di tutto perchè potessero tornare a casa a vivere e a ricordare il passato prima del dolore.
Quella casa dove aveva toccato e annusato i bambini per l'ultima volta.
Quella casa nella quale aveva scoperto che gli sarebbe sopravvissuto e non li avrebbe visti diventare uomini.

5 aprile 2012

Dreams & Visions


Vedo un uomo seduto alla scrivania. Ha un computer davanti ed una chitarra in braccio.
Sta suonando e ogni tanto scrive qualcosa con la tastiera. Con il mouse fa partire la registrazione. Microfono e chitarra sono collegati ad una scatoletta grigia collegata, a sua volta, al retro dello schermo.
Suona il telefono ed è costretto ad interrompere, sbuffando. Risponde. Dall’altro capo del filo si scusano per il disturbo domenicale ma si tratta di una cosa breve e urgente. L’uomo risponde che non c’è alcun problema. Parlotta un po’. Alla fine saluta e riattacca. Pensa che i problemi più urgenti, sono sempre i più semplici da risolvere.
Si volta verso la cornice sul lato destro della scrivania e si ritrova ad osservare, ancora una volta, la foto al suo interno.
C’è un lui di un paio di anni più giovane.
Pensa che, tutto sommato, non è cambiato molto.
Dalle sue spalle, calano due gambe e sopra la propria testa ne vede un’altra. Gli occhi sono i suoi, le trecce sono di un nero identico a quello che conosce bene, per tutte le volte che ci ha tuffato il viso negli ultimi anni. Delle mani si reggono alla testa. Avvicinandosi, nota che intorno alle unghie sono un po’ mangiate. Quasi fosse un segno distintivo della famiglia.
Sorride e pensa che, in fondo, è cambiato tanto, negli ultimi anni.
Quello che lo ha sempre colpito di quella foto, ricordo di una giornata all’aria aperta, è sempre stato l’occhio che il fotografo ha usato. O meglio, l’occhio della fotografa. In quella foto c’è tutto lo sguardo di lei.
Lo stesso sguardo che ricorda lei aveva una sera di tanti anni prima.
Erano sdraiati sul letto e lei lo guardava in quel modo: come se quello fosse lo sguardo definitvo, come se nessun altro lo avrebbe mai guardato così in futuro. Era quello sguardo che, malgrado tutto, gli dava forza in quel momento.
Era una serata strana: di promesse non accettate, di desideri repressi, di sofferenza. Ma erano anche risate e scherzi. Come sempre. Il suo modo di sdrammatizzare lo portava a cercare di farla ridere e di ridere con lei. Non voleva sminuire l’importanza delle cose dette; voleva, soltanto, allentare un po’ la tensione.
In quel momento sembrava che tutto stesse finendo. Malgrado gli abbracci, i baci, le carezze, il bisogno rivelato con gli occhi, i gesti o le parole.
In quei giorni ogni saluto era stato l’ultimo e non potrà mai scordare il terrore di perderla; o la paura che le cose andassero in una direzione nella quale a lui era vietato andare; oppure il sentirsi bloccato in una situazione senza via d’uscita.
La paralisi data dalla sensazione che il suo futuro sarebbe stato compromesso inevitabilmente per errori commessi in passato.
I suoi pensieri vengono interrotti dal rumore della porta che si apre.
Distoglie gli occhi dalla foto e fa in tempo a salvare quanto registrato prima che, la bambina della foto, arrivi di corsa e gli salti in braccio. Con la bocca sporca di gelato ed un quadrifoglio in mano: “E’ per te! Porta fortuna!”, urla, abbracciandolo.
La ringrazia con un bacio sulla fronte.
Dopo pochi istanti, ecco quello sguardo entrare nella stanza e lui pensa che la fortuna lo ha già premiato anni prima.
E nessun portafortuna potrà mai incrementarla.
E nessun piccone potrà mai abbattere la solidità del muro di quelle sensazioni…neanche dopo tutti quegli anni.

Io sono un'isola


L’isola negli anni, è andata sempre peggiorando.
Il regime instaurato ha avuto alti e bassi ma è rimasto sempre fedele a se stesso.
La volontà di bastare a se è stata la base della politica estera da sempre.
Ci sono stati periodi di apertura, nei quali venivano accolte presenze dall’esterno mentre altre venivano rifiutate in partenza.
Questi periodi sono sempre stati seguiti, in alternanza come le stagioni, da altri di isolazionismo e totale chiusura.
Quando finivano si diceva che era stato meglio così e che la ripresa ci sarebbe stata. Seppur con difficoltà momentanee, è andata sempre in questo modo. Che fossero stati i paesi esteri a ritirarsi o fosse stato il governo a rifiutarli, si restava sempre in piedi.
Oggi, non si vedono tracce di miglioramenti e ripresa. Gli analisti s’interrogano sui perché e non trovano risposta. La razionalità degli studiosi non serve, adesso. La saggezza popolare ed il cuore dell’isola ci puossono venire in aiuto: l’isola non si regge più sulle sole sue gambe.
Si avverte il bisogno di essere affiancati da altri per andare avanti e far si che le cose assumano connotati decisamente più favorevoli.
Perché ogni isola ha bisogno di legami. E non legami qualsiasi. Legami scelti e selezionati. Fino a questo momento, per ogni accordo stipulato si è fatta la valutazione sulla sua effettiva fattibilità e, sempre, il risultato ha portato ad un’interruzione.
Dopo anni di ricerca e tentativi si è giunti alla situazione ideale ed al partner ideale con il quale intraprendere un’esistenza condivisa basata su appoggio e continui scambi.
Sembra però che eventi passati e situazioni odierne contingenti non permettano che tutto ciò avvenga e, mentre il governo dell’isola cerca soluzioni alternative, il suo cuore non riesce a riprendersi. Non riesce a battere come prima. Non riesce a far si che l’organismo funzioni e torni a respirare come sempre.
Ci sono momenti nei quali si dice che tutto andrà bene, ma ce ne sono altri nei quali si resta immobili a fissare un punto ne vuoto che, però, non ha risposte. Ci si trova a prefigurare scenari apocalittici di lento declino.
Forse sarà così. O forse si tratta solo di aspettare tempi migliori. Lasciando che la storia faccia il suo corso e che l’isola torni ad avere quello che si merita, anche se non sempre è stata così meritevole.

Dodici - e più - concerti (ai quali ero presente)

1.   Francesco Guccini - Palasport, Firenze. 1993 (?)
2.   Bad Religion - Rolling Stone, Milano. 1994
3.   Pearl Jam - PalaEur, Roma. 1996
4.   Le notti di Maciste (CSI, Marlene Kuntz, Ustamamò, Disciplinata, ecc...) - Cencio's, Prato. 1998
5.   Neil Young -  Piazza Napoleone, Lucca. 2001
6.   Ani Di Franco - Tenax, Firenze. 2001
7.   Pearl Jam - Piazza Duomo, Pistoia. 2006
8.   Okkervil River - Viper, Firenze. 2007
9.   Bruce Springsteen & The E-Street Band - Stadio Olimpico, Roma. 2009
10. Afterhours - Teatro Comunale, Firenze. 2010
11. Pearl Jam - Parco S.Giuliano, Mestre. 2010
12. Davide Van de Sfroos - Sashall, Firenze. 2011

Sono questi per stato d'animo del momento, perchè era la prima volta, per la compagnia, per l'artista sul palco, perchè mi son venuti in mente al volo ed altri no...
E poi:
Guccini a Porretta (199x): avevo appena finito la sessione d'esame, sdraiato sul prato con addosso la mia maglietta dei Marlene e accanto la ragazza che mi piaceva ma con la quale eravamo rimasti amici
Disciplinatha a Pistoia (199x. Auditorium): spaccavano di brutto
Marlene Kuntz: al Cencio's, nel 1999, ero sporco di fango perchè avevamo impatanato la Uno di sua madre che poi abbiamo lavato con un tubo di gomma di un benzinaio chiuso. Lavato...bagnato, via!
Modena City Ramblers: non ricordo dove e quando ma ballavo a torso nudo ed era estate ed ero ancora un pupo e, cazzo, quanto stavo bene!

4 aprile 2012

Cinque Libri

1.Jack Frusciante è uscito dal gruppo - Enrico Brizzi
2.Arancia Meccanica - Anthony Burgess
3.Due di Due - Andrea De Carlo
4.A Sangue Freddo - Truman Capote
5.Quattro Amici - David Trueba

Cinque Dischi

1. Ten - Pearl Jam
2. Who's Next - The Who
3. Catartica - Marlene Kuntz
4. Bones Machine - Tom Waits
5. Hai paura del Buio? - Afterhours

Cinque Film (*)

1. Bianca - Nanni Moretti
2. Clerks - Kevin Smith
3. Singles - Cameron Crowe
4. The Big Lebowski - Cohen Bros
5. Memento - Christopher Nolan

(*) ogni lista non riguarda i più belli di tutti i tempi o necessariamente i preferiti ma quelli dei quali mi ricordo sempre per un motivo per l'altro

3 aprile 2012

Teorie

Spesso, per lavoro, tengo incontri nelle scuole. Tra i vari temi trattati, c’è il razzismo. Anche nella sua variante curativa: anti-razzismo o lotta al razzismo.
Sempre, per far capire ai ragazzi di cosa si sta parlando o per cercare di definire il campo entro il quale ci muoviamo, utilizzo il concetto di relatività e quello di stereotipo.
La relatività è un punto di vista interessante quando si parla di “diversi da noi”. Il dato fondamentale è che, facendo parte di una maggioranza, non si rientra nella minoranza dei diversi. Quindi relativamente al nostro universo maggioritario, noi siamo gli uguali.
La riflessione da fare si basa sul fatto che basta spostarsi in altro luogo (fisico o mentale) per “rischiare” di diventar noi la minoranza.
Lo stereotipo è, invece, una visione semplificata della realtà. Il suo utilizzo nelle classi, serve a spiegare alcune generalizzazioni razziste e discriminanti: il napoletano non ha voglia di lavorare, l’albanese ruba, il milanese vive di solo lavoro, il livornese è simpatico, le bionde sono stupide. Chiaramente sono semplici riduzioni della complessità della realtà perché non possiamo avere l’occasione di vedere tutti i napoletani non fare un cazzo, far partecipare tutti i livornesi alle gare di barzellette o portarci a letto tutte le bionde che ci sono per dimostrare che, da perfette deficienti, quando si rivestono indossano le mutande in testa. Dopo aver rinunciato a cercarne le istruzioni.
Lo stereotipo, quindi, porta a dare un giudizio affrettato e sommario della realtà perché ci aiuta a superare la paura di quello che non si conosce. La curiosità verso l’altro-da-se si può esaurire una volta scopertane la provenienza; ed il rifiuto diventa giustificato automaticamente in base a canoni stereotipati e, quindi, largamente accettati.
Io sono italiano ma non sono mafioso. Certo, mi piace la pizza e voglio bene a mia mamma ma mai mi sognerei di suonare un mandolino vestito da Pulcinella.
Al limite da Balanzone che, almeno, è dottore!

1 aprile 2012

...non...
...ci...
...riesco...