22 giugno 2012

Once upon a time...

Per me, il basket si ferma a Michael Jordan (senza dimenticare Magic e Larry)...
Per me, il tennis si ferma ad Andrè Agassi...
Per me, la musica si ferma agli anni novanta...
Sono vecchio? Non credo.
Sono un nostalgico? Di sicuro.
Preferivo, però, telefonare e dover parlare con i genitori, se erano loro a rispondere.
Mi piaceva la televisione uguale per tutti, bella o brutta che fosse, e non quella odierna che ci divide in fasce di prezzo. In pacchetti.
Mi manca il periodo nel quale non sapevo mai i cognomi delle persone perchè non avevo un social network che me lo diceva. E non mi informava neanche sulle altrui vacanze, amicizie, posizioni in tempo reale.
C'è stato un tempo nel quale con le persone ci dovevo parlare faccia a faccia perchè non c'era altro modo. Quando per comunicare potevo usare solo la voce. E cazzi miei se ero intorverso (che fa più figo di "timido").
Ricordo che quando prendevo un appuntamento per un incontro, ad eccezione dei ritardatari cronici, eravamo tutti puntuali perchè non c'era modo di avvetire dieci minuti prima del proprio ritardo. Ed il posto scelto restava, invariabilmente, quello concordato.
Ripenso a quando, quasi ogni ragazza conosciuta, era un mondo da scoprire e non una da portarsi a letto. E, spesso, tendevo a pianificare, mentalmente, un futuro insieme, pur sapendo inconsciamente che non si sarebbe realizzato.
Tempo fa, le persone erano Persone e non numeri. Con gli amici, mi trovavo sempre nello stesso posto e le cose da fare erano limitate dal minor flusso d'informazioni.
L'eco di "eventi" lontani non mi raggiungeva, se non in forma mitica. Facevo quello che conoscevo.
L'impressione era che ci fossero meno possibilità ma migliori. Maggior isolamento ma meno solitudine.
Oggi, ho la quasi-certezza che davo maggior valore alle cose e alle persone che potevano essere importanti per me.
E i punti di riferimento non esistono più, anche se tutto sembra più facile.

12 giugno 2012

2012.06.10 - Stadio "Artemio Franchi", Firenze. Bruce Springsteen & The E-Street Band": Who’ll stop…

Acclamato, desiderato, atteso…alle venti e trenta sale sul palco con le sue Telecaster e la sua E-Street Band. Non scenderà prima che siano passate tre ore e venti.
Il Boss parte forte: “Badlands e “No Surrender”. Un “uno-due” che ti stacca i piedi dal suolo, che spinge in alto le mani e fa uscire la voce.
Dopo la coppia iniziale e un terzetto dal nuovo disco, è il momento di “My city of ruins”. E la mente corre a tre anni fa, a Roma, quando la dedicò a L’Aquila, mentre oggi si pensa anche all’Emilia mentre si ascolta una versione piuttosto gospel e dilatata che, forse, ha tolto un po’ di carica emotiva al brano.
E poi avanti, alternando vecchi cavalli di battaglia ai brani del nuovo disco (non tutti riuscitissimi, a mio parere).
E poi...pronti? via!...Dopo venti minuti inizia a piovere. Una pioggia di canzoni accompagnata dalla pioggia, quella vera. Qualcuno abbandona e va a cercare riparo,  il resto, quasi tutti, resta in posizione e continua ad urlare alle nuvole il sentimento comune che lega chi ama certe canzoni e certi artisti.
Acconciature preparate con cura perdono volume, ombrelli si aprono, cerate vengono dispiegate. Altri, non trovando di meglio si tolgono anche la maglietta.
Springsteen non si risparmia quando si tratta di avvicinarsi al proprio pubblico; così, buona parte del concerto la passa sotto la pioggia, suonando e cantando ma, soprattutto stringendo mani che a loro volta gli afferrano i polpacci come fossero la base di un statua dedicata ad una divinità pagana.
“Waitin’ on a sunny day” è il brano che fa sentir tutti eroi sotto il diluvio (ma doveva ancora peggiorare) ed il Boss lo sa. Gode del suo pubblico che, pur sapendo che il sole non andrà a splendere, vede nella sua musica quel sole che potrebbe asciugar loro almeno il cuore. Prende un bambino e lo fa cantare, così come, su “Dancing in the dark”, prende una ragazza dal pubblico per il solito balletto. Loro sono solo la punta dell’iceberg dei 45.000 del “Franchi” perché tutti cantano e tutti ballano, perché la pioggia che cade spinge a muoversi ancora di più, perché malgrado il maltempo, ogni tanto si sente la voglia di assistere ad uno spettacolo musicale che possa far dimenticare quello che c’è al di fuori di queste tre ore di musica.
E prima della micropausa c’è tempo per tre delle migliori frecce nella farestra del buon Bruce: "The River", "The Rising" e "Backstreets".
Mentre sparge, qua e la, alcune cover, si arriva al massimo della potenza della pioggia e, come se fosse stato scritto nel grande libro dello spettacolo, parte “Born to run”. ”One, two, three, four…” e non c’è più pioggia, c’è solo una delle migliori rock-band del pianeta e della storia della musica, uno dei migliori songwriter che, fortuna ha voluto, io potessi ascoltare e uno dei migliori brani mai concepiti.
Tutti cantiamo di come “i vagabondi come noi sono nati per correre”; anche sotto l’acquazzone che ci bagna il viso ed inzuppa i vestiti, perché, forse, dietro le nuvole, c’è una Wendy con cui poter costruire qualcosa.
Sembra che niente e nessuno possa impedirci di fare quello per cui siamo nati; possa fermare la nostra "corsa".
Così come niente e nessuno ferma Springsteen. Nemmeno l’assenza pesante di Big Man che, già al primo solo di sax, mi è sembrata ancor più evidente. Eravamo solo alla prima canzone in scaletta e già la commozione per il vuoto fisico, musicale ed emozionale faceva tremare i dotti lacrimali. Almeno i miei.
Parafrasando, la sua assenza è stato un assedio che si è sciolto solo verso la fine, durante “Tenth Avenue Freeze-Out”, quando “…the change was made uptown and the Big Man joined the band…”, quella stessa band ha smesso di suonare, le luci si sono abbassate ed è partito un filmato tributo al grande Clarence. E, non so perchè, ma una sensazione di pace mi ha pervaso. Musica, immagini e silenzio sono stati catarsi, per il solo fatto che hanno reso protagonista del proscenio, un’assente. E ci sarebbe stato da piangere se la musica non fosse ripartita come a ricordare che lo spettacolo continua e che Clemons sembra, e sembrerà per sempre, incastonato nelle note che escono dalla chitarra del Boss, al di la del dolore, come a dargli ancora più forza. Una forza che, passati i sessanta, pare quasi innaturale.
Forza trasmessa fino alla fine. “Twist and Shout” e “Who'll Stop the Rain?” ballate e cantate a squarciagola senza maglietta (perchè “ormai..bagnato per bagnato”) e che hanno messo la parola fine alla serata che, in realtà, sa tanto di arrivederci, perché malgrado tutto, Springsteen e la E-Street band non possono essere fermati.
In fondo, come si fa a fermare quarant’anni di musica che batte con il ritmo del nostro cuore?

…and i wonder…still i wonder…who’ll stop the rain?...

Setlist:
Badlands
No Surrender
We Take Care Of Our Own
Wrecking Ball
Death to My Hometown
My City of Ruins
Spirit in the Night
Be True (Premiere: Tour debut)
Jack of All Trades
Trapped (Jimmy Cliff cover)
Prove It All Night
Darlington County (With Honky Tonk Woman intro)
Burning Love (Elvis Presley cover) (Premier: Tour debut - Sign Request)
Working on the Highway
Shackled and Drawn
Waitin' on a Sunny Day
Apollo Medley
The River
The Rising
Backstreets
Land of Hope and Dreams
Encore:
Rocky Ground
Born in the U.S.A.
Born to Run
Hungry Heart
Seven Nights to Rock (Moon Mullican cover)
Dancing in the Dark
Tenth Avenue Freeze-Out
Encore 2:
Twist and Shout (The Isley Brothers cover)
Who'll Stop the Rain? (Creedence Clearwater Revival cover)

4 giugno 2012

Nion Story: Piccola 2007

Piccola


E ritrovarsi qui davanti ad un bicchiere di vino
Come se il tempo fosse quello la...

Come se volessi vedere due bicchieri e una bottiglia
non volessi pensare a quello che in testa hai impresso tu
che ti tormenta e ti ha fatta crescere l’unico mio regalo per te

E non sapere che sogni progetti
e che utopie si spezzeranno
sui tuoi sogni di piccola bambina
cullata dal sogno infranto
di frasi dette e urlate

E ritrovarsi qui davanti ad un bicchiere di vino
Solitario monolite di una vita sbagliata...

Ricordare soli in una stanza e sapere che
fuggire non è mai la strada migliore
Che seguire sarebbe più saggio
ma saggio io non sono stato mai

E non sapere che sogni progetti
e che utopie si spezzeranno
sui tuoi sogni di piccola bambina
cullata dal sogno infranto
di frasi dette e urlate
maledette e ripetute
E sapere che non esistono magie o treni in ritardo
da compiere o da salire
Lasciare rivoli sul vetro
che ti dicono che il gioco è finito
Mendicando un altro giro di giostra...