23 gennaio 2010

Solo spettatori autorizzati

Aprire un libro, un bel libro, è come cascarci dentro. La sensazione è quella di essere risucchiati in un altro mondo. Si ha l'impressione di cominciare a frequentare altre persone. Ci sono quelle simpatiche e quelle antipatiche. Gli amici e quelli che non lo sono. Ci si sente coinvolti negli accadimenti e si spera che le cose vadano come si crede sarebbe meglio


Leggendo "A sangue freddo", mi sono sentito catapultato in un mondo che non c'è più ma, al contrario di altre volte, mi sentivo estraneo, un osservatore neutrale. Il taglio del romanzo porta a questo e, tra le altre cose, testimonia al meglio la grandezza letteraria di chi lo ha partorito.
Capote scrive un freddo e distaccato resoconto di un delitto. Come un giornalista ci narra i fatti e filtra le sensazioni ed i sentimenti dei personaggi. Quest'ultimi diventano persone con poco di romanzesco. E la freddezza diventa abilità affabulatoria.
Il buon Truman mi ha lasciato alla finestra ma senza farmelo pesare, senza che in me nascesse il desiderio di scendere per le strade di Holcomb (o Garden City) e diventarne cittadino momentaneo. Mi ha accordato il permesso di assistere agli eventi e, per far ciò, mi ha nutrito di scrittura asciutta e lucidità.
Beh...grazie...

3 gennaio 2010

Senza distinzione

Un immigrato, residente da circa vent'anni nel nostro paese e che per dovere di stereotipo chiamerò Abdul, parla con un sociologo americano.
Quest'ultimo gli fa domande sulla condizione degli immigrati. Abdul risponde che gli autoctoni trattano meglio le persone come lui dal lunedì al venerdì, cioè quando lavorano, rispetto al sabato, la domenica ed i giorni festivi.
Questo mi spinge a riflettere su come ci vedano, come paese intendo, quelli che ci osservano da esterni residenti all'interno.
Posso supporre che per lui tutti gli italiani siano così. Cioè, partendo da una minoranza che la pensa in quel modo, generalizza. Così facendo, ripete, cambiando punto di vista, ciò che molti di "noi" fanno con "loro": ritenere tutti gli immigrati degli scansafatiche, deliquenti o peggio (se c'è).
Io non mi rivedo nella definizione di Abdul. Così come non ci rivedo molte persone che conosco e frequento.
Quindi? Anche lui crea un clichè, uno stereotipo. Prende il tutto, partendo da una parte.
Di conseguenza, rafforza, in me,  la convinzione nel concetto di relatività e l'amara considerazione che l'essere umano tende a giudicare senza conoscere. Senza distinzione di razza, religione, genere, colore o altro.
Non mi fa arrabbiare detto da Abdul, perchè lo posso capire. O meglio, posso intuire come si senta uno straniero in mezzo a sguardi, per lo più, ostili. Tacciato, ad ogni pretesto, delle peggiori azioni che l'uomo possa compiere. Lo capisco.
Capisco che le differenze sono relative. Che se un marocchino è un diverso in Italia, io sarò diverso in Marocco. Tutto è relativo. Sono stato per venti giorni un diverso, circondato da sguardi a mandorla. Però, mai invadenti, mai sospettosi, sempre cortesi.
La differenza deve partorire curiosità e interesse. Empatia, anche. Mai diffidenza. Conoscenza, semmai. Solo conoscendo è possibile integrare mondi diversi, mantenendo inalterate le loro peculiarità.
Ma forse richiede troppo sforzo. Senza distinzione di razza, religione, genere, colore o altro.

2 gennaio 2010

2009. Niente da capire

L'anno è finito come è iniziato. Allontanando persone. Vestendo i panni dello stronzo, o peggio, dell'immaturo.
Nel mezzo, la conferma che non riesco ad uscire dagli anni 90. Musica, vestiti, pensieri. Gli stessi.
Il Giappone. Matrimoni e figli che nascono. Dagli altri, per fortuna.
Infortuni ripetuti sul campo da gioco col timore di dover smettere e la volontà di continuare.
Poi che altro?
Le solite prove di esilio volontario dal mondo che si sono andate a scontrare con una nuova "avventura" intrapresa. Avventura tra virgolette perchè qua nessuno si è sentito eroe. Qua nessuno è fiero di se stesso ma neanche deluso. La delusione che creo la cedo, al solito, a quella parte del genere umano che, brillantemente, decide di avvicinarmi.
Poi, il Giappone. L'ho già detto ma è stato un viaggio che ricorderò anche quando sarò vecchio e rincoglionito, dimenticando, giorno dopo giorno, piccoli particolari e rafforzando la visione d'insieme.
Qualche bel libro letto. Qualche scoperta. Birra & birra. Un paio di "alligatori" (da leggere e da bere).
Riflessioni continue nel tentativo vano di capire. Gli altri, me stesso, il nulla.
Direi basta...visto che non c'è niente da capire.