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15 maggio 2020

Love vuol dire parità

Mi scuso se, in questi ultimi mesi, non sono stato un virologo.
Se non ho pontificato su virus, sue evoluzioni e soluzioni.
Mi scuso se non ho dato sfogo alle mie intuizioni politiche, esponendo teorie dietrologiche sulla gestione della crisi.
Mi perdonerete se non ho fatto sfoggio delle mie numerose competenze in materia di economia; se ho tenuto per me le soluzioni per contrastare la crisi presente e imminente.
Mi scuso se non ho partecipato a Masterchef Casa.
Il format sarebbe anche valido: isolati in casa, cuciniamo come mai prima ed il giudizio sarà affidato a prove fotografiche.
In generale, mi scuso se non ho abusato dei social per far sapere il mio pensiero su qualunque argomento fosse inerente alla situazione.
Se non vi ho deliziati con lamentele da 130 caratteri; o con foto di torte, pizza e pane o animali che fanno...beh...gli animali.
Mi scuso se me ne sono stato quieto e tranquillo, cercando di interiorizzare questo momento per riuscire ad essere sereno.
Mi scuso se non ho reagito come un bambino, gridando di una libertà negata perchè non mi è stato concesso di correre, fare aperitivi, vedere gli amici.
Non mi scuso, invece, perchè sono riuscito a restare allegro anche se solo e fisicamente isolato dal resto. Se, per due mesi, ho cercato di essere forte per i miei congiunti (ho trovato il modo di utilizzare questa parola!!!) ma anche per me stesso.
Non mi scuso se son riuscito a programmare la mia giornata come se fosse normale, dedicandomi a formazione professionale ed hobby. Se mi sono preso cura del mio corpo e, sopratutto, della mia mente.
Se ho fatto tante dirette nelle quali ho cantato e suonato, letto Pinocchio per i bambini e improvvisato.
Non posso chiedere scusa se ho trasformato le mie IG Stories in 30 secondi durante i quali raccontarmi la giornata trascorsa, come se fosse stata piena di consuetudini e normalità, al pari di quelle di tre mesi fa.
Però, esiste sempre un "però".
Quindi...
Vorrei le scuse di chi, in diretta, finge che tutto sia pianificato.
Vorrei che si scusasse chi ci ha sedato con "fase 1", "fase 2" e succedanei.
Le scuse da parte di chi snocciola disponibilità economiche erogate dallo stato. Per tutti ma senza spiegare se ci saranno coperture o se, cosa peggiore, si creerà un debito che ci annichilirà in un secondo momento.
Mi dovrebbero porgere le scuse quelli che  ci hanno fatto i complimenti perchè siamo stati disciplinati. Dovrebbero scusarsi perchè non siamo, in toto, un popolo di scemi.
Alcuni di noi riescono a riconoscere quale sia il proprio dovere.
E questo DOVERE è l'essere cittadino responsabile.
E' vivere come cittadino ATTIVO quando la situazione ti chiede di non "attivarti" per vivere la quotidianità a cui si è abituati.
Per concludere, vorrei ringraziare chi mi è stato di supporto senza saperlo. Non siete tantissimi ma siete in numero sufficiente.
Chi, forse, ha capito che il mio non far pesare sugli altri miei pensieri negativi non voleva dire che non ne avessi.
Infine, mi ringrazio. Perchè so di non essermi inaridito, di esser migliorato (anche se di poco), di essere rimasto semplicemente ME.

Non mi scuso, mi scuso, chiedo scuse e ringrazio.
Facciamo che siam pari e ognuno a casa propria.
Questa mi è uscita male...



20 aprile 2020

Riprendo un vecchio post, mi immergo e provo a finirlo per ricominciare

Il cliché dell'anziano, oggi, è entrato nell'immaginario collettivo come una figura con le mani giunte dietro la schiena che osserva un cantiere. Meglio se dando consigli o commentando con i propri simili.
Io, purtroppo, ho ancora qualche anno prima di potermi unire a tale combriccola. 
Sono, però, troppo avanti con le lune per far parte del meraviglioso mondo dei gggiovani. 
I giovani di oggi vanno a comandare, comprano esami all'università, portano il cappello con la visiera dritta, o ciufferie che sfidano le leggi della fisica. 
Il giovane non ascolta musica. La subisce. 
Talent e radio lo addestrano a riconoscere solo determinate sonorità.
Gli "artisti" un po' seguono le mode, un po' le lanciano. Il confine è molto sottile. 
La sola cosa che conta è tenere l'ascoltatore in una zona di comfort auditivo. Quasi a non voler spaventare il fruitore medio che, per onor della verità, può anche non essere giovane.
Questo porta ad una situazione di stallo: da un lato, si perde la curiosità; dall'altro, si perde il motivo principale per fare "arte".
Chi ascolta resta in piedi senza scoprire niente di nuovo.
Chi produce si siede comodo sul divano del già sentito.
Non voglio dire che, anche in passato, la musica non fosse produzione e vendita di qualcosa ma, negli anni, il lato commerciale è diventato predominante. Forse, sarebbe più corretto dire "commerciabile".
In tutto questo, nutro una grande invidia per tutti quelli che: ascoltano la radio, "la musica mi piace tutta", "hai sentito l'ultima canzone di...", ecc...
Sono persone musicalmente ingenue con una grande fortuna: hanno tantissima musica da scoprire.
Spero prendano uno zaino, una sacco a pelo ed una tenda e si avventurino in un trekking a ritroso nel tempo che li conduca a conoscere artisti e dischi che, ad oggi, ignorano.

24 settembre 2016

Bianco, nero e grigio

La verità non è un concetto assoluto.
Mi correggo: la verità empirica non è un concetto assoluto.
Scientificamente, un esperimento può portare, se ripetuto in determinate condizioni non mutevoli, a risultati che si posso definire verità.
Nel mondo degli esseri umani, la verità è quasi sempre empirica.
Un esempio? Un esempio!
Se due persone mi raccontano lo stesso episodio, quest'ultimo potrebbe esser narrato in modi diversi.
Tutto questo può essere dovuto alla componente emozionale di chi lo ha vissuto (diversa per ciascun soggetto) oppure al fatto che tra le due parti esiste un contrasto.
Si passa, quindi, da verità oggettiva a verità soggettiva. Dovuta alle emozioni o ad una certa dose di partigianeria.
Un film al cinema può essere riportato in base alle emozioni (ed al gusto personale).
Una conversazione, invece, può essere narrata diversamente se sussiste una controversia. Oltre alla componente emozionale di cui sopra.
Nel secondo caso, il problema sta tutto nella situazione di stallo che si crea quando due soggetti non sono in grado di comunicare. Quando avviene il classico "dialogo tra sordi" o tra persone che parlano "lingue" diverse.
Quando non ci si "accontenta" di quanto ci viene detto. Quando non si prova, nemmeno per un secondo, a capire le ragioni dell'altro ma, in maniera del tutto egoistica, ci si incaponisce a considerare quanto succede, e viene detto, secondo il proprio modo di vedere il mondo o secondo schemi propri, che mirano alla semplificazione ed all'appiattimento dei dislivelli sfumati della realtà.

16 febbraio 2016

Dello scrivere

Scrivere è sempre stata una cosa che mi piace molto.
Ho scritto canzoni, piccoli racconti incompleti, lettere.
Ma anche post tipo questo.
Scrivere è sempre stata una cura incredibile. Spesso è stata un'urgenza che mi permetteva di buttare fuori alcune cose, per sentirmi più leggero.
Ecco! Se volessi dare una definizione sarebbe: scrivere è un'urgenza. Incontrollabile, inarrestabile e insopprimibile. 
Non tutti gli scritti sono uguali, chiaramente.
Una lettera, ad esempio, è, di per se, molto strana.
Parte dal presupposto che si stia parlando con qualcuno che, in quel momento, non è presente.
Questo qualcuno la leggerà per conto proprio. Quindi, il tempo e lo spazio che separano mittente e destinatario possono fare molta differenza per quanto riguarda la percezione del messaggio.  Inoltre, mentre si scrive, si immaginano le reazioni di chi leggerà. Su questo aspetto, si tenderà a tirare ad indovinare
Una canzone è tutto un altro sport. 
È, di solito, ispirata ad alcuni fatti. Pubblici o privati. E si arroga il diritto di esprimere il mio punto di vista in poche righe e parole. Parole che dovranno anche suonare!
Molte volte è stata una persona ad ispirare la canzone. Il classico: questa canzone l'ho scritta per...oppure...è dedicata a...
Come ho avuto modo di dire più volte, il bello di una canzone scritta per qualcuno è che, se tutto finisce, la canzone resta. Come un figlio. Lo fai in due ma poi sarà grande ed andrà via con le sue gambe. 
Un post è molto strano di per sè. Un blog è una sorta di diario ma, mentre scrivo, so che è pubblico e quindi leggibile da chiunque. Teoricamente. Questo mette un pò di freno ad una sincerità senza macchia. Diciamo che si potrebbe tendere ad omettere.
Ma forse è la vita che è così: preferiamo omettere piuttosto che guardare in faccia la realtà.

14 febbraio 2016

Sono il nome del padre e del figlio

Io sono una cazzo di generazione di mezzo.
Non la mia generazione.
Sono proprio io ad esserlo.
Quelli della mia età hanno messo su famiglia.
Dopo aver sognato, per anni, il cane, la staccionata bianca, i figli ariani come nella migliore tradizione del mulinobianco, praticamente tutti si sono ritrovati con dei figli normali, con mogli (mariti) ingrassati dalla vita matrimoniale, a vivere in appartamenti senza staccionate e con animali domestici che cagano in ogni angolo.
E hai voglia a ritrovarti la mattina a far colazione tutti insieme e tutti sorridenti. Mi sa che non c'è proprio niente da ridere. L'educazione dei bambini, il lavoro, i conti di casa, le prossime vacanze , le cene dai suoceri: tutte cose che non fanno ridere per niente.
Però, Ramos, c'è l'amore e la condivisione!
Si, finchè non arriva il postino ventenne o la segretaria avvenente.
Naturalmente, sto generalizzando e nutro grossa stima per chi decide di condividere il resto della propria vita coinvolgendo anche terze persone basse che non lo avevano chiesto.
Io, dicevo, sono la generazione di mezzo.
Avrei l'età per finire come loro ma vivo come se avessi l'età di quelli nati un decennio dopo di me.
L'unico vantaggio è che lo faccio con la maturità di chi ha le proprie foto da piccolo stampate in bianco e nero.
Sono la generazione di mezzo.
Potrei essere il padre: sono attento, tendo a indirizzare i miei simili verso le scelte giuste, sono apprensivo, sono severo quanto basta, cerco di risolvere problemi anzichè crearli, mi assumo le mie responsabilità.
Potrei essere il figlio: sono sempre pronto a partire, adoro le novità, me ne fotto di quello che succederà nei prossimi anni, faccio scelte sbagliate ma oneste, tendo ad incasinarmi la vita, cerco di nascondere le mie responsabilità, non ho un piano a lungo termine, figuriamoci un piano B.
In ogni caso, sono onesto, qualunque sia il ruolo del momento. Anche se spesso credo non ci siano momenti ma sia tutto molto complesso. Credo di essere io, molto complesso.
Sono pesante ma anche leggero. Intelligente ma so far bene lo stupido.
Un buon esempio che mi riassume riguarda i miei gusti cinematografici: amo i cosidetti film d'autore e poco accessibili ma guardo anche le peggiori cagate mai prodotte dal supposto ingegno umano.
Insomma, sono ferro ma anche piuma, lavoro e ozio, affabilità e antipatia smisurata.
Sono la generazione di mezzo: sono il padre ed il figlio.
E per lo spirito santo? Niente. Mi accontento del vino.

9 febbraio 2016

Aforismi #2

1.Bisogna farsi domande serie per avere risposte serie

2.La vita ci tiene periodicamente lontani come per farci prendere la rincorsa

8 febbraio 2016

Do...e basta

Ci sono delle situazioni nelle quali so di non essere la persona che vorrei essere. Diciamo che tendo a riempire un ipotetico zaino con tutti i miei peggiori difetti. Lo riempio fino all'orlo e m'incammino, lamentandomi del peso. Il peso specifico dei propri aspetti negativi è maggiore rispetto a quello dei  propri pregi.
Altre volte, invece, decido di viaggiare leggero. Mi metto sotto braccio una pila di pregi, di cose positive, di atteggiamenti costruttivi, cose belle e riparto.
La meta? La persona che vorrei essere sempre.
Una persona che ha capito che fare qualcosa per gli altri da belle sensazioni. Forse perchè non c'è abituata.
Una persona che ha capito che non tutto deve essere un do ut des (e spero di averlo scritto bene, altrimenti bella figura di mota). Forse perchè un movimento positivo univoco basta a se stesso.
Una persona che non smetterà mai di essere se, di migliorarsi, di cercare di tollerare di più.
Di cercare.
La ricerca è un viaggio; e non importa la meta ma sono gli ostacoli che la rendono interessante:
ogni scalino salito...
ogni fosso saltato...
ogni ferita subita...
ogni sorriso che si è spento...
sono passi in avanti, verso il proprio personale nirvana interiore.
E non importa se le gambe fanno male, se il cuore batte troppo forte, se gli occhi sono lucidi, i polmoni in sono in fiamme...e se mi resta solo mezzo sorriso.
Basta e avanza

7 febbraio 2016

Aforismi

La vita pulsa. E tu dovresti starci nel mezzo

26 gennaio 2016

Kampai!

Mi è stato detto che sono indecifrabile.
Premesso che ritengo di non essere un mistero insondabile, è una cosa su cui ho riflettuto.
Ma facciamo un passo indietro.
Da piccolo, ero sicuramente un bambino solare, allegro sempre, propenso all'intrattenimento del prossimo: un casinista di prima classe.
Poi sono cresciuto e credo che l'aver cambiato città in una fase della vita, che molti definirebbero formativa del carattere, abbia inciso. E non poco.
Ogni volta dovevo ricominciare. A conoscere gli altri e a farmi conoscere. Forse, mi sono trovato al punto di dover decidere di chiudermi perchè ero stanco di "imparare". Chiaramente, in maniera del tutto inconsapevole.
E così, dai 15 anni, sono diventato introverso, ombroso, solitario con parsimonia.
E' probabile che questo sia uno dei motivi.
In aggiunta, ritengo di essere una persona che non ama mostrare debolezze o slanci particolari. Non amo manifestare gioia, tristezza, rabbia, rancore, amore, in maniera troppo evidente.
Tendo a tenere tutto dentro. Ad avere un guscio esterno, parzialmente opaco, che serve a contenere quello che definirei un tumulto.
E' così che mi sento spesso: un'anima che ribolle.
Da fuori, sono misurato, pacato, quieto.
Dentro, ci sono volte in cui mi sento esplodere. Sia in positivo che in negativo.
Non mi definirei un trattenuto perchè quando voglio esterno. E lo faccio con immacolata chiarezza. Però, lo faccio quando ne vale la pena. Tendo ad esporre e difendere le mie idee ma a tenere al sicuro i miei pensieri. Per difenderli.
Una doppia difesa.
Per esemplificare...
Se non ricordo male, in un romanzo di Baricco, ci sono un lui che beve the da una tazza ed una lei che, a sua volta, beve dalla stessa tazza. Ma quest'ultima, nel farlo, la gira per bere nello stesso esatto punto in cui lui aveva bevuto. Gesto meraviglioso ma fatto di nascosto, per non farsene accorgere.
Ecco, temo di esser così: uno che certe cose le vive di nascosto dagli estranei perchè non voglio che perdano il valore che hanno se condivise con il mondo.

22 gennaio 2016

Riabilitare la normalità

Oggi riflettevo sul concetto di normalità.
Troppo spesso la si confonde con la banalità.
Faccio un esempio.
Il barbone incolto, di per sè, è normale: copre il viso dal freddo, è il risultato di mesi dominati dalla non voglia di radersi, ecc....
Il barbone ipercurato da hipster è banale. E' una cosa che esiste perchè va di moda. Non è una barba incolta ma è frutto di ripetute visite in un barber shop. E su questa cosa potrei aprire un intero blog.
La normalità è, a volte, vista come una cosa negativa, noiosa e, appunto, banale.
Credo, invece, che la normalità sia necessaria perchè possa esistere la straordinarietà.
Come il concetto di bene avrebbe poco senso senza quello di male, così un vivere normale ci permette di avere momenti straordinari.
Quelle impennate improvvise di cui è costellata l'esistenza.
Quel sentirsi, anche solo per un attimo, baciati dal fato.
La normalità, ripetuta, fugge dall'abitudinarietà banale perchè spinge verso la ricerca dell'inaspettato.
A volte basta un momento epico per ridare senso alla propria vita. O meglio, una serie di momenti a lungo cercati e, ogni tanto, trovati.
Possono durare anche un attimo ma potrebbe essere proprio quell'attimo che vale la pena di esser vissuto.
Del resto, ho sempre avuto il sospetto che si viva aspettando l'onda perfetta

21 gennaio 2016

Mappe

Nella vita si cade. Fisicamente ma, sopratutto, metaforicamente.
Ci sono grandi cadute che provocano enormi arresti.
Ci sono piccole cadute che rallentano solo un poco.
Io, forse, sono fortunato. Grandi cadute mai.
Diciamo che mi sono specializzato nei piccoli traumi interiori.
E, credo, siano stati tanti.
E, credo, di esserne uscito sempre con una sorta di totale noncuranza. Almeno esteriormente.
Ogni volta, invece, qualcosa ho lasciato per strada. Qualcosa di me. Una parte del fanciullo incantato che sono stato.
Dovrebbe chiamarsi vita. Io lo chiamerei evolversi. O cercare. La vita è una costante ricerca di se stessi. Un continuo migrare mentale verso quello che saremo. Partendo da quel che siamo.
Quindi, ogni esperienza serve a questo. Ogni dannata cicatrice traccia una mappa che, se percorsa al contrario, mi riporta al punto di partenza.
Ci sono momenti nei quali questa mappa la indosso con fierezza. In altri, la temo.
Perchè mi rende consapevole del fatto che certi eventi, scelte, inciampi, potrebbero avermi anestetizzato e reso insensibile.
Spesso, però, mi rendo conto che così non è perchè tutto il passato mi torna addosso come un onda anomala. Uno tsunami inarrestabile che posso solo farmi passare sopra, trattendeno il fiato il più a lungo possibile.
Dimenticare sarebbe la soluzione ottimale. Affogare i ricordi una bottiglia di vino umorale.
Ma i ricordi sanno nuotare benissimo...

"...excuse me please one more drink
Could make it strong cause I don’t need to think 
She broke my heart my Grace is gone
One more drink and I’ll move on
One more drink and I’ll be gone
One more drink my Grace is gone..."


6 gennaio 2016

Ho capito...

Ho capito che, se voglio, posso fare tutto. Certo non l'astronauta, il leghista o il supereroe.
Però, mi sono accorto che le potenzialità che ho (io come quasi tutti gli altri ominidi che popolano fastidiosamente la terra) mi permetterebbero, con applicazione ed impegno, di riuscire.

Ho capito che non sto diventando vecchio. Come un Dorian Gray di provincia o il vino, il passare del tempo mi migliora. Dentro e fuori.
Sto, semplicenente, diventando più saggio. E quindi, intelligente, paziente, acuto. E riflessivo (come se ce ne fosse stato bisogno).

Ho capito che non posso cambiare le cose che mi circondano. Non tutte. Così come non posso cambiare il mio modo di essere.  Posso governare i problemi, a volete risolverli, posso limare me stesso.

Ho capito che gli ominidi fastidiosi di cui sopra sono di tante specie. Alcuni quasi adotttabili.
Molti di loro sono omuncoli inutili e piccoli d'animo e di pensiero.
Sono come i bambini. La razionalità serve a poco. Li puoi riprendere e brontolare ma dopo poco non si ricordano più la lezione. Li puoi lasciar piangere e battere i piedi ma, alla fine, scordano il motivo iniziale.

Ho capito di essere ad un altro livello rispetto a tali ometti. Ma, suppongo, non sono solo io che mi innalzo. Sono loro che sprofondano giorno dopo giorno.

Ho capito che devo puntare ad essere migliore di loro. Ma prima ancora del me stesso del giorno precedente. Che non mi devo livellare verso il loro spettinato baratro ma, ancora una volta, alzare l'asticella per saltare più in alto.

Ho capito che il gioco che conducono non mi piace e non posso farmi coinvolgere. Non posso guardare in basso; devo guardare in alto. verso ciò che mi può portare più su.

Ho capito che posso utilizzare le loro regole, e la lo loro scarsa propensione all'utilizzo della ragione, a mio favore.

Ho capito, anche, di essere permaloso e arrogante. Lo si sarà capito da quanto scritto poche righe più su.  Ma anche ciclicamente immaturo, testardamente romantico senza dare nell'occhio, sbruffone senza svolazzi, esigente come il più rognoso degli insengnanti.
Ma questo già lo sapevo.

1 gennaio 2016

On the road...again...

Non so che cazzo di anno sia stato il 2015. Non sono solito tirar giù bilanci del genere.
Sono stati 365 giorni di transizione. E’ stato un anno strano.
Partito in salita. Una salita molto ripida che poi si è addolcita. Un po' di pendenza è rimasta ed è quella che mi ha tenuto vivo. Cerco sempre la via più semplice, quella che mi permetta di vivere al meglio. Questo modo semplifica la vita e mi tiene sempre pronto perché maggiori sono le difficoltà, più interessante e difficile è mantenere un certo status.
Ho cambiato lavoro, modo di vivere, ho cambiato il mio quotidiano usuale. L’ho fatto senza accorgermene e credo di essere una persona profondamente diversa.

E’ stato un anno, come il precedente, immerso nell’equilibrio che mi ero creato. Una bolla relativamente sicura che mi ha permesso di navigare in maniera piuttosto tranquilla.
Solo verso la fine, questo equilibrio si è piacevolmente rotto e, sapete che c’è, va bene così.
Forse, avevo smesso di pretendere perché era più facile.

E’ stato un anno nel quale mi sono concentrato sui pieni e sui vuoti, sulle mancanze.
Ci sono quelle definitive che sono ferite, o tatuaggi, che ispessiscono la pelle e la rendono più forte. Sono quelle con le quali si convive e che ci ricordano che, una volta, anche solo per un secondo, c’è stato qualcosa per cui è valso la pena combattere.
Poi ci sono i pieni ed i vuoti momentanei.
La mancanza momentanea, tendenzialmente riferita ad un essere umano, è una cosa positiva.
Ma l’ho capito solo da poco.
E’ una cosa bellissima perché vuol dire che, quando il vuoto si colmerà, si starà meglio.
Del resto ho sempre pensato che il cambiamento sia necessario solo se migliora la vita. E mi riferisco al cambiamento scelto e non predeterminato da eventi esterni.
Insomma, un 2015 di passaggio ed evoluzione.

Non mi pare cosa da poco...

Anche se di strada ancora ce n’è…


Buon 2016 (per quanto ritenga il calendario gregoriano una mera convenzione)

"... And on I read until the day was gone…
And I sat in regret of all the things I've done…
For all that I've blessed, and all that I've wronged…
In dreams until my death I will wander on…"

12 dicembre 2015

Ci sono molti modi (?)

Io conosco un solo modo: il mio.
Chiaramente, ognuno ha il proprio ma molti riescono a smussarne certi aspetti, in virtù di benefici. Sociali, interpersonali, lavorativi, economici, edonistici e così via.
Ma io conosco un solo modo. Le nuove generazioni, quelle fast & furious, direbbero "gas in fondo".
Io conosco solo un modo di fare le cose: fino in fondo.
Non riesco a concepire le mezze misure, le sfumature, gli equilibri forzati.
Provare e sbagliare è una delle cose in cui son più bravo. Ma almeno non ho rimpianti. A questi preferisco i rimorsi, le ipotesi a posteriori, l'accettazione del fallimento. La resurrezione dalle ceneri dei miei sbagli.
Negli anni ho solo iniziato a dosare e miscelare un pò di pazienza, per cercare di domare l'impulsività che mi ha portato a sbagliare strada più di una volta.
Anche adesso, scrivo di getto, non penso più di tanto alle parole che imbrattano il bianco della schermata.
Io conosco solo un modo anche se, con ogni probabilità, ce ne sono tantissimi.

"...I can accept failure, everyone fails at something. But I can't accept not trying..." (MJ #23)

23 luglio 2015

Sociologia: La settimana della normalizzazione

Tempo fa ho preso una decisione ed ho inaugurato quello che potrebbe diventare un rito peridodico.
Spesso, ho la sensazione di avere dei sospesi con le persone. Per motivi diversi tra loro come diversi sono i rapporti che ci legano. Non necessariamente niente di grave o gravoso.
Questa è una cosa che, sinceramente, mi è sempre riuscita difficile da accettare, quando si tratta di persone di cui mi importa qualcosa.
Quindi, ecco la grande idea: La settimana della normalizzazione
In cosa consiste?
Dopo avere deciso quali sono le persone con le quali vale la pena chiarire, mi sono preso una settimana per farlo. Sette giorni nei quali ho programmato incontri per esporre i dubbi su determinati rapporti che coinvolgessero me e l'interlocutore.
Non è detto che possa portare a miglioramenti sensibili nei rapporti ma, di sicuro, serve per metter sul tavolo le carte e proseguire con la mano successiva.
Ho tentato di normalizzare con la ex, diventata amica, perchè pensavo che, dopo anni, non le bastasse.
La settimana è proseguita con l'eterna indecisa per capire da che parte volesse andare e se ci saremmo andati insieme.
La sette giorni si è conclusa con un'altra ex che sistematicamente mi evitava (suppongo perchè spaventata) e questo non ha mai permesso di costruire un (post) rapporto da persone adulte.
Diciamo che l'esperimento normalizzatore è da provare anche se i risultati non sono stati particolarmente incoraggianti.
Con l'amica tutto ok. Chiarito e avanti tutta.
La ex sfuggente, in piena sindrome "carissimo Pinocchio", ha sostenuto che non fosse vero, anzi, solo il destino cinico e baro non ci permetteva di avere un rapporto amichevole e maturo.
L'indecisa è rimasta indecisa e, per quanto mi riguarda, persone che non hanno le palle di scegliere non le voglio intorno.
Concludendo, consiglio la settimana della normalizzazione.
Mal che vada, berrete qualche birra in compagnia.

12 luglio 2014

..and I know it...

Non sono più un ragazzino. E' il pensiero che mi attraversa la mente.
Due ore scarse di allenamento. Poi, appena l'attività finisce, esplode un dolore alla testa.
Vado dal dottore. Uno che quasi non conosco perchè, fortunatamente, non ne ho avuto molto bisogno.
Il dottore, over quaranta con un tutore al braccio, mi consiglia una TAC alla testa. Io so che la consiglia per evitare il rimorso di aver lasciato cadere nel vuoto certi sintomi.
Esco dal suo studio con una richiesta urgente. "Urgente" è una parola che, tendenzialmente, mette ansia ma, in Italia, vuol dire "necessario un controllo senza che debbano passare alcune settimane".
Mi dirigo verso l'ospedale di riferimento. Guido come se fosse un giorno qualsiasi. In realtà, in un angolo remoto delle viscere, una domanda mi pulsa dentro. Batte e ribatte..sembra un metronomo.
Circa dodici chilometri ad un ritmo lento. Non quello del traffico. Il ritmo è quello di questa domanda che preme per avere risposta...TUM...TUM...TUM...
Parcheggio...TUM...TUM...TUM...
Passo la porta, la portineria, il corridioio...ma non riesco a far passare il quesito che TUM...TUM...TUM...
Riempio i moduli, pago quel che c'è da pagare, aspetto...TUM...TUM...TUM...
L'infermiere mi fa togliere gli orecchini...TUM...TUM...TUM...spengo il telefono...TUM...TUM...TUM...mi sdraio...TUM...TUM...TUM...
Improvvisamente il mio personale metronomo tace e si placa il mio battere interiore.
Capisco che sono pronto. Capisco che l'esistenza possa terminare da un momento all'altro. Sono solo mentre mi rendo conto che NON c'è problema. Non mi auspico la morte ma, quando arriverà, sarò presente e porterò con me la mia dote.
Quel giorno non ci sarà tristezza, non ci saranno lacrime.
Ci sarà la mia vita come un ciclo ormai concluso. Ci sarà la speranza di aver lasciato qualcosa: un ricordo...un canzone...un sorriso...
La sensazione di non aver lasciato niente di intentato sarà un tutt'uno con le occasioni mancate. Due pesi che, sulla mia bilancia personale, non penderanno da nessuna delle due parti.
Sono pronto. Sono disteso. Sono senza orecchini....
 

13 aprile 2014

Non c'è più molto tempo e non c'è nessun rumore...

Non esistono le epifanie. Non ci sono momenti nei quali capisco cosa potrebbe essere giusto e cosa no.
L'illuminazione lascia il posto alle sensazioni che mi guidano in una certa direzione interiore.
In questi giorni, ho capito che cercare la felicità non ha nessun senso perchè è un concetto utopico e, di conseguenza, non è una meta raggiungibile.
Nella realtà dei fatti, devo cercare, e seguire, la strada che più si avvicina alla felicità; quella che, per il solo viaggiare, mi fa stare bene.
Il momento illuminante lascia il posto alle sensazioni e la felicità si fa da parte per un viaggio lieve e felice.
In ogni caso, devo avere i coglioni. In caso contrario, meglio restare sotto le coperte.
"...That's one more time around... the sun is going down...
The moon is out, but he's drunk and shouting...putting people down
He's pissing... he's living... a day he'll soon forget..."

12 aprile 2014

Giorni

Con gli anni, ho imparato una cosa: quello che si pensa alla luce della luna non riflette, per forza, il pensiero quando c'è il sole.
Ho imparato a pensare alle cose prima di dirle, o farle.
Sono finiti i tempi nei quali una frase classica era "ho bevuto, toglimi il cellulare dalle mani!".
Probabilmente sono cresciuto. Non ho più bisogno di slanci alcolici. E, sopratutto, riesco a conciliare i pensieri della notte con quelli del giorno.

8 aprile 2014

武士道

Apprezzo la delicatezza e la determinazione della cultura giapponese. Crisantemo e spada.

Prima della seconda guerra mondiale, il Giappone ha investito pesantemente in armamenti, perchè credeva fosse la via da seguire per uscire dal proprio medioevo, secondo una modernizzazione del concetto di samurai.

La musica è finita

La solitudine è l'unica medicina che conosco. E' l'unica stanza della mia anima dove posso ritrovarmi con persone fidate (me stesso) e parlare di tutto senza filtri, mettendo a nudo ogni più piccola cosa.
E' il luogo nel quale, quando leggo e rileggo una pagina senza capire, posso decidere di voltarla e passare alla successiva.
A forza di rileggere sempre le stesse righe, le stesse frasi, le stesse pause, la vista si annebbia e perdo di vista l'obiettivo assoluto: un sano benessere epicureo. La ricerca totale dello star bene.
Mentre per il corpo serve solo allenamento fisico, per la mente devo staccare. Devo essere distaccato e razionale, valutare gli eventi secondo giuste proporzioni logiche. Il cuore, invece, seguirà la ragione e la modellerà a suo piacimento.
Certe pagine vanno girate, prima di rimanere schiacciati perchè, in definitiva, niente è eterno e la gente va sempre via.