11 giugno 2020

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Non riesco a non ripensare a due anni fa.
Alle sensazioni passate.
A chi c'era, a chi ci sarebbe potuto essere e a chi non c'è più.
Rifuggo con forza l'idea di una ricerca che mi porti al volere una copia di ciò che è stato.
Sarebbe una replica sbiadita.
Tengo il passato ben saldo dentro di me e mi rendo conto che questo cammino servirà per andare oltre.
Voglio costruire un futuro che mi possa donare un ulteriore nuovo passato. 
Voglio vivere il presente come la somma dei vari istanti, come un  ponte verso quello che sarà.
Arrivo all'albergue di San Juan de Villapanada.
Piccolo ed isolato, come piace a me.
Conosco Cristian e sua madre, Cloty. Sono di Barcellona e dal Cammino de El Salvador sono arrivati sul Primitivo.
Anche Nurya è catalana, di Girona. Parliamo e ci scambiamo i numeri di telefono anche se abbiamo programmato tappe diverse e non so se riusciremo a ritrovarci. Viaggia con un'amica, istruttrice in palestra, che l'accompagnerà solo per le prime due tappe. Per farle coraggio.
L'hospitalero, un signore tarchiatello sui sessanta, è la vera superstar.
Si comporta come una mamma dietro ai propri figli.
Appoggio le scarpe nell'ingresso e lui le riporta fuori.
Stendo un filo tra i letti per i panni, lui arriva e lo toglie.
Ci fa una lavatrice comune e sostiene che potremo stendere fuori.
Dopo dieci minuti si scatena un diluvio...
Il fatto è che non sei superstar per niente: prende i panni bagnati, li mette in un sacco e li porta in paese per asciugarli in una secadora.
La sua gentilezza è direttamente proporzionale alla probabilità di calzini orfani del proprio omologo.
La superstar ci informa che non è prevista cena ma che si può prendere vino e birra. Ed i prezzi sono molto popolari.
Tutti mangiano quello che hanno nello zaino e ce lo offriamo l'un l'altro.
Dividiamo bottiglie di vino e birre.

San Juan de Villapanada, 11 Agosto 2019


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