30 aprile 2020

Occhio alle buche

Ciruena è un paese di 20 abitanti ed un bar.
Gli ultracentenari sono 5.
Questo ci racconta il gestore di Casa San Victoria, dove alloggiamo.
All'ingresso in città si trovano numerose villette di costruzione recente, un centro sportivo comunale ed un golf club, che direi essere indispensabile per un paese semi deserto.
Scopro che è la parte nuova, costruita una decina di anni fa quando, il paese, era ancora luogo di seconde case per gli spagnoli.
Il vecchio paese, con i suoi 20 abitanti, è composto da case fatiscenti e case diroccate.
Arrivo per primo al limitare della parte più nuova e mi siedo, senza scarpe, ad aspettare le mie due compagne di viaggio.
Da quando il trio si è formato, seguo uno schema rituale per camminare.
La mattina presto, col buio, cammino con loro e l'andatura è alquanto lenta. Questo perchè si deve prestare attenzione a dove si mettono i piedi ed ai vari segnali che indicano il cammino.
Frecce gialle, scritte gialle, conchiglie sono ovunque ad indicare la via. Fuori dai centri abitati e con il buio, alcune indicazioni potrebbero sfuggire e questo invita a prestare maggior attenzione e a diminuisce la velocità.
Segue una parte centrale che, complice la luce del sole, ci spinge ad un'andatura più spedita mentre, gli ultimi 10 chilometri, li percorro in solitaria, accelerando e aspettandole a destinazione.
Dopo Los Arcos, ho ricomprato le scarpe in un negozio di Viana.
Ho preso le classiche Salomon da trail running. Forse, le più utilizzate insieme alla roba del decatlone. Le magliette "tecniche" di questa grande catena francese hanno due caratteristiche principali: prezzo molto contenuto e produzione odore di morte sotto le ascelle anche dopo averle lavate.
Da par mio, indosso magliette tecniche UA, la mia ditta preferita per l'abbigliamento sportivo.
I piedi stanno sicuramente meglio ma questo non mi ha impedito di prendere una leggera storta alla caviglia destra. Parlando sempre di "attenzione a dove si mettono i piedi".

Ciruena, 18 Agosto 2017


29 aprile 2020

"Forse non è il caso" - "E' sempre il caso"

Da Navarrete, come detto, partiamo alle 4:50.
Non riuscendo a dormire, preferiamo metterci in cammino.
Sono riuscito a dormire ad intermittenza.
Ale, invece, non ha dormito. Durante la notte, ho aperto un occhio, lei era a sedere, appoggiata sotto la finestra. Vicino, aveva un torinese. Tipico esemplare di "Gassman".
Per cercare di spiegare: il Vittorio Gassman de "Il Sorpasso"; un tipo che si approccia al mondo con quell'aria da sono-veramente-uno-splendido.
Gassman le stava accarezzando la guancia. E' notte, non si riesce a dormire, fa caldo e lui, impavido, ci prova. Così, senza mezze misure, senza prenderla larga. Chapeau!
Il giorno dopo le farò notare la stranezza della situazione: notte, semibuio ed un estraneo che ti mette le mani in faccia.
Quindi, ben prima dell'alba, ci mettiamo in cammino.
Ale fa scena muta o risponde con mezze parole. Lei, di solito lenta e costante nel camminare, parte e ci stacca in solitaria.
Nel male, penso che così avrò più tempo per conoscere ESSE perchè abbiamo la possibilità di camminare da soli.
Mi rendo conto che l'anello debole della catena dei miei propositi sia proprio io.
Mi rendo conto che tutti i miei racconti cominciano con "stavo con una". Fin qua, poco male se non fosse per il fatto che questa "una" poi sparisca, sostituita da un'altra.
ESSE ha avuto una storia di nove anni. In confronto Previti ha preso meno.
Io, probabilmente, non do una sensazione di grande affidabilità. E' anche vero che questo sono e non mi posso fingere altro.
Raggiungiamo Ale e Gassman in un paesino. Sono seduti ai tavoli esterni di un bar. Lei pare più tranquilla. Lui sembra in procinto di urlare "vai cavallina!!!".
Parlando con Ale, alla fine, viene fuori che si era incazzata perchè non ha dormito.
Nel reprise, qualche ora dopo, confesserà che l'arrabbiatura è nata dalla nostra assenza quando hanno chiuso l'albergue.
Donne: la prima risposta non è mai quella che conta.
Siamo arrivati a Ciruena.

Ciruena, 18 Agosto 2017

28 aprile 2020

Sogno o son fiesta?

Dopo una tirata a piedi lunghissima, sotto un sole assassino, arriviamo a Navarrete. Alle 17...
L'ultima ora è stata infernale. Indipendentemente dall'orario di partenza, capisco che arrivare nei posti dopo le 14 o le 15 non è consigliabile. Al netto delle soste, stare in giro quasi 12 ore è alquanto insostenibile. Ma se fai 41 chilometri non vedo altra soluzione.
Dopo il rito di sistemazione (doccia, lavaggio panni, cerveza y lemon), cena in un bar di tapas. Tapas y Pincios e cerveza y lemon.
Sono tutti assaggi e paghi ogni pezzo. Abbondante e conveniente. Almeno in Spagna.
La sera comincio ad aver coscienza del fatto che ESSE mi possa piacere.
Esco dall'albergue per fumare e le chiedo se vuol venire.
Mi sembra una ragazza sveglia, autonoma e capace di cavarsela. Fa osservazioni non banali sulle cose.
In questi giorni, mi sono accorto che mi piace averla intorno. Mi piace farla ridere. A Los Arcos, durante la cena, complice una leggera brezza, mi si era attaccata per ripararsi dal freddo. Ma, al solito, non avevo capito in pieno il gesto.
Abita a Milano e li ha lasciato una storia con una persona della quale pare non esser più così sicura.
Ho il dubbio che questo pensiero possa essere dettato dalla lontananza e dal tipo di viaggio.
Usciamo, voltiamo l'angolo alla sinistra del nostro ricovero per la notte e ci sediamo su di un muretto. Parliamo. Parliamo a lungo. Parliamo di lei, di me, di altro. Lo facciamo per un bel pò e vorrei baciarla. Solo che inizio a pensare che potrei rovinare l'equilibrio di questo trio di spontanea formazione.
Guardo l'ora.
Sono le 23.
Gli albergue municipali chiudono alle 22.
Sommo le due informazioni: benvenuto panico.
Rischiamo seriamente di essere rimasti chiusi fuori. Sentimenti contrastanti: la paura e la felicità, per essermi reso conto che il tempo è volato. Buon segno.
Rigiriamo l'angolo. Troviamo la porta lasciata socchiusa da una matita appoggiata sullo stipite.
Pare una inspiegabile gran botta di terga.
In realtà, Ale, non vedendoci, è uscita a cercarci, lasciando in quel modo la porta d'ingresso. Cuore di mamma.
Torna e ci dice che l'hospitalera, non trovandoci all'ora di chiusura, si è incazzata come un toro costretto a correre per la città.
Sgattaioliamo fino alla camera e ci mettiamo a letto.
La notte, dicono, porta consiglio. Per noi, solo la solita fiesta paesana. E' ferragosto. Festa della vergine.
In Spagna, hanno questa abitudine a festeggiare fino al mattino. E intendo le 8 di mattina.
Riesco a dormivegliare fino alle 4. Musica tutta la notte. Nell'ordine: band di piazza, armonica a bocca, karaoke (credo). Picco della serata è Grease. Quello con il battimani da capodanno alcolico di provincia.
Stremati dai festeggiamenti degli altri, partiamo alle 4:40.

Navarrete, 17 Agosto 2017

27 aprile 2020

La corsa dei (pi)tori

Come dicevo nella parte precedente, a Los Arcos incontro Beppe e viene ritrovata una credenziale smarrita.
E' la sua.
Leggo il nome sopra e mi ricordo di averlo conosciuto a Pistoia, anni prima.
Lui, che di mestiere fa l'attore, era venuto al circolo nel quale ero vicepresidente e mi occupavo degli eventi.
Il mondo non è poi così vasto.
Beppe ha quell'aria da cittadino del mondo: uno che sembra non stupirsi mai e prende ogni accadimento con simpatica supponenza.
Siamo in Navarra e siamo nel periodo delle corse dei tori. Oltre alla più famosa, a Pamplona, in tutta la regione, le strade vengono delimitate da barriere di legno e si lasciano liberi i tori.
Con lui, assisto a questo spettacolo tradizionale, buttando giù una birra dietro l'altra.
Una roba grottesca. Intendo la manifestazione caratteristica, non la mia personale luppolata in compagnia del buon Beppe.
Pochi tori che vanno avanti e indietro per le strade e le piazze di Los Arcos.
Sembrano su di un binario perchè passano sempre negli stessi punti.
Lasciato libero di scorrazzare c'è anche un nutrito gruppo di ominidi che si vogliono sentire uomini, scappando dal pericolo.
La cosa più pericolosa che sto facendo io è scansare una pellegrina in vestito a fiori vagamente ubriaca e infoiata.
Gli ometti in fuga stanno a 10 metri dai tori. Questi ultimi sono talmente intontiti e instabili che cadono ogni volta che cambiano direzione sulle finte dei primi. Hanno lo stesso sguardo che aveva mia nonna quando mi scambiava per mio cugino. E mi riferisco ai tori, in questo caso.
Tra i prodi bipedi, Samuele.
Pugliese trapiantato a Bologna che vive facendo foto, lavorando per Sky (?) e altre cose poco chiare.
Prima della gran corsa, gli chiedo se, per caso, "fa cose, vede gente". Moretti torna sempre utile anche se lui non capisce assolutamente il riferimento.
Mi racconta che il giorno dopo dovrà "fare cappello" ed io, ingenuo, intendo una cosa tipo artista di strada. Solo la sera capirò che il suo cappello si sarebbe riempito attraverso lo smercio di qualche sostanza stupefacente leggera.
Ma, nell'immediato, sta correndo inutilmente per la piazza principale. Gli occhi spippati e ben lontano dai quadrupedi figli dello stesso rincoglionimento di mia nonna.
La sera, racconterà un'avventura incredibile. Narrerà di essersi trovato faccia a faccia con un toro che,  novello Hannibal Smith, lo aspettava dietro un angolo. Probabilmente, per dargli del coglione e tornare nella stalla.
Al racconto assistono anche Dario e Deborah di Como.
Lei più giovane di questo lui che, nella tradizione degli scalzoni, indossa barba e pantaloni bracaloni e spiritosi da freakkettone. Roba anni 90 che denuncia il suo decennio di nascita.
Dario, durante la corsa dei geni, era in piazza, scalzo, a scattare foto. Figurati se uno così poteva fare il ragioniere.

Los Arcos, 16 Agosto 2017

26 aprile 2020

Divagazioni e prevenzione

Non ho avuto modo di scrivere molto in questi giorni.
Non per mancanza di tempo ma perchè sono immerso in un vivere che non mi lascia spazio per sedermi e mettere su carta i miei pensieri.
Oltre al fatto che sono incostante in maniera imbarazzante.
Sono a Los Arcos e proverò a riavvolgere il nastro per "offendere la carta con sgorbi ritorti".
L'albergue municipale è una ex scuola. Ci sistemano in un dormitorio enorme con i letti a castello in metallo. Spazio vitale tra le strutture: 40 cm.
Ci sono tantissimi italiani.
In realtà, tutto il Cammino Francese è pieno di italiani. Dopo gli Spagnoli (che sono gli abitanti del paese ospitante) credo che la penisola a forma di stivalaccio fornisca la maggior percentuale di pellegrini.
Incontro Beppe, di Genova.
Mi sembra di conoscerlo ma non saprei perchè.

Dopo aver fatto la doccia in un affollatissimo spazio bagno e aver lavato i panni, scopro un'asciugatrice manuale. E' composta da due rulli con una manovella. Come una macchina per tirare la pasta. Si inseriscono i vestiti bagnati, si comincia a girare ed i due rulli strizzano e fanno passare i vestiti. Ne esce l'acqua in eccesso. Operazione da fare più volte, sia chiaro.
Rudimentale e mediamente faticoso. Assolutamente ridicolo ed affascinante in parti uguali.
E sono l'unico che lo usa.
Qualcuno trova una credenziale, momentaneamente abbandonata o persa.

Divagando 1
La credenziale è il documento ufficiale del pellegrinaggio. La si può ricevere a casa prima di partire o prenderla lungo il cammino. Io l'ho presa a Saint Jean, il giorno prima di cominciare. Vi si scrivono i propri dati e, aprendola a soffietto, mostra spazi bianchi. In quegli spazi si potranno apporre i timbri (sellos) che testimoniano il passaggio in un determinato posto. La si può far timbrare nei posti dove si pernotta (sufficiente per attestare il cammino che si sta compiendo). In realtà, qualsiasi posto ha il proprio timbro: ristoranti, negozi, bar, chiese, alberghi fino a spartani spazi ristoro lungo la via. E per spartani, intendo che ci può essere solo acqua.
Anche se...
Divagando 2
Lasciata Estella, si passa da Irache, una cantina che produce vino. Fin qua, niente di strano.
La cosa incredibile è che sulla strada si trova una fontanenella con due rubinetti, tipo i nostri fontanelli. Dal primo esce acqua. Dal secondo, vino! Un cartello avverte gli italiani che non ci si possono riempire le borracce ma solo berne un sorso. Naturalmente, l'avvertenza è per tutti ma mi piace pensare che sia andata in altro modo.
- e se mettessimo un rubinetto che da vino ai pellegrini?
- bellissima idea!
- ma ci saranno tanti italiani...
- mettiamo un cartello per impedire che arrivino a riempirsi i fischi!

Los Arcos, 16 Agosto 2017

25 aprile 2020

Ed il cuore comincia a bisbigliare: ULTREYA!!!

Questa mattina partenza ad un ora più decente rispetto alle 5/5:30 solite. Da Villava, siamo arrivati a Ciraquì, un micro paese arroccato su di un monte.
L'albergue (rifugio per i pellegrini) è gestito da italiani che ci danno indicazioni utili, ci indicano la sistemazione per la notte e preparano la cena che poi condivideremo tutti insieme. Come da tradizione del cammino.
Finisco la mia birra all'esterno mentre si alza il vento. Sento i due hospitaleros italici discutere all'interno. Non tutto è sempre dorato, no?
Il trio è ancora in piedi ed in cammino.
Queste due ragazze, sconosciute fino ad un paio di giorni fa, adesso sono la mia quotidianità.
Sono abituato a vederle e so che, quando non sarà più cosi, mi mancheranno.
Questa esperienza ti lega agli altri in maniera imprevista, strana e inconsueta.
In realtà, tutto è inconsueto e di valore.
Anche la stretta di mano con un giapponese, incrociato a Puente la Reina, è un momento che resta impresso.
In un continuo augurarsi reciprocamente "buen camino", si avrebbe voglia di abbracciare tutti. Perchè siamo uguali. Perchè stiamo condividendo un vivere particolare. Anche se ognuno in modo diverso.
Ed i dolori, muscolari o dovuti alle vesciche, diventano secondari. Sono impedimenti superficiali che non mi possono fermare. Quello che conta è il cuore. Non un cuore da atleta ma, semplicemente, l'emozione che si prova ad ogni battito cardiaco; quelle emozioni che risuonano fino alla testa per dirmi: "quello che conta è la strada".
Sto vivendo un'esperienza interiore totalizzante e bellissima. Sono partito per provare una cosa nuova ma senza sapere perchè lo volessi.
E, d'improvviso, ogni passo rende la mia mente più lucida ed i pensieri sempre più leggeri. Le gambe si fanno pesanti mentre il cuore è più forte.
Ed il cuore, piano piano, come a volermi abituare senza fretta, comincia a bisbigliare: ULTREYA!

24 aprile 2020

Della libertà

Roncisvalle-Villava
Sono partito alle 5:15. Incoronato re delle partenze intelligenti, chiaramente.
Alle 11 sono già a Zubiri. La tappa "canonica", da guida, sarebbe finita ma decido di proseguire con le mie nuove compagne di viaggio.
Dopo i saluti della sera prima, mi sono ritrovato, casualmente, a ripartire con Ale ed un'altra ragazza,
ESSE, che spera che il suo moroso sia quello giusto e, con lui, possa programmare un futuro.
Ale, seppur delusa, parla di amore incondizionato; quello che serve nella vita; quello che è sicura esista.
Sono persone molto diverse da me ma, con loro, mi trovo bene.
Certo, a volte, mi sento un pò coglione con le mie storielle, con il mio non volermi legare, con la mia libertà.
A volte, penso che la libertà sia bella solo se condivisa, come dicono in quel film su di un ragazzo che lascia tutto ed inizia a vagabondare per gli Stati Uniti. Insomma, il film con quella colonna sonora pazzesca.
Dicevo, libero all'interno di un legame potrebbe essere una soluzione.
Adesso siamo alla piscina comunale di Villava. Un giusto ristoro dopo quasi 40 chilometri. Ale ha poco tempo e deve fare tappe lunghe. ESSE ha piacere a stare in sua compagnia. A me va bene stare con loro.
Al primo tuffo in acqua, il mio orologio digitale con calcolatrice anni ottanta mi abbandona. Si trasforma in un mini acquario senza pesci. Proverò a farlo asciugare per vedere se si riprende.
Prima di cena faccio la conoscenza della birra con lemonsoda. O cerveza y lemon. O Radler.
So già che sarà un'amicizia molto lunga e fidata.
La stanchezza del cammino viene spazzata via dalla doccia in una sorta di rituale purificatore della fatica. Restano soltanto due vesciche (ampollas) sui talloni grandi come monete.
Qualche mese prima...
"che scarpe posso usare?"
"quelle da corsa vanno benissimo" aveva risposto la mia amica veterana dei cammini.
E' stato l'unico suggerimento sbagliato, almeno per i miei piedi.

Villava, 14 agosto 2017

23 aprile 2020

Inizia lo spettacolo

In un preciso istante, capisco cosa sia questa esperienza.
Quando sono partito, era buio. La strada era deserta e cominciava subito a salire.
Poi, il sole è sorto.
La nebbia, nella vallata in basso, sembra un mare. Un incredibile mare dove restano tutti i brutti pensieri.
Sono passato in Spagna. Ho superato i Pirenei con la testa ancora piena di domande.
Quelle sulla strada, sulla fatica, sul perchè io sia qua. 
Lo spettacolo sotto di me cerca un modo per rispondermi.
Comincio la discesa, in un bosco, ed arrivo a Roncisvalle.
Il lato "agonistico" è piuttosto predominante: conto i chilometri in base al tempo (in un'ora sono circa 5). Annoto mentalmente le persone che raggiungo e supero. Considero ora di partenza ed ora di arrivo. E' un modo per passare il tempo, mentre cammino.
All'arrivo constato che le gambe hanno retto. La testa, pure. Si è liberata. Passo dopo passo.
Adesso, quello che conta è la strada. La cosa importante è il viaggio, il percorso da compiere in solitaria.
Ci sono molte persone e le possibilità di interagire non mancano ma credo che io stia cercando del  tempo per me, fuori da tutto.
In ogni caso...
Martino, 30 anni, ha fatto il cammino nel 2015. Un veterano rispetto a me.
Mentre aspettiamo che i panni asciughino, racconta la sua esperienza con gli occhi lucidi e luminosi. Sono gli occhi di ha scoperto qualcosa che a me ancora sfugge. Ha trovato il Suo qualcosa. Io troverò il mio.
Ale lascia Bolzano, due figli ed un'unione finita. Immagino possa essere questo il motivo che l'ha spinta ad avventurarsi in questo viaggio. Ha solo 3 settimane per fare 800 chilometri. Quasi 40 chilometri la giorno e se stessa. Per ripartire.
Mentre mi racconta qualcosa di se, mi sorprendo a pensare che, italiano a parte, io non sappia mai quale lingua usare. Saluto in inglese persone che poi scopro provenire dalla penisola a forma di vecchio stivale. Abbozzo un rudimentale spagnolo fatto di vocaboli esatti (alcuni) ed altri addomesticati alla bisogna (moltissimi).
Poi, dopo la benedizione del pellegrino (alle 18:30) e cena alle 19:00 (!!!), ci salutiamo con il classico "Buen Camino".
Non prima di averle chiesto se mi poteva lasciare un "contatto". Non il numero di telefono ma un "contatto". Ho usato proprio questa parola. Il numero privato mi è sempre sembrato troppo...privato e fatico a chiederlo alle persone. Ma, il temine contatto non lo si sentiva dagli scambi epistolari con gli amici di penna degli anni 80. Per questa cosa, so che verrò perculato senza tregua.
Punto la sveglia alle 5 per partire alle 6.

Roncisvalle, 13 Agosto 2017

22 aprile 2020

Porta(mi)

La via della porta che conclude Rue de Espana, mi inghiotte per una passeggiata serale.
Sono a Saint Jean Pied-de-Port, Francia.
Da qua parte il Cammino Francese.
Quella stessa porta, domani, inghiottirà me, e quello che mi lascio dietro, per risputare dalla parte opposta solo il necessario per camminare: testa, cuore e gambe.
La vedo come un simbolo. Un simbolo di grandi incognite e piedi che fremono per cominciare. Un passaggio per tutte le mie curiosità e le mie paure.
L'idea è che, una volta passata quella costruzione di pietre, le possibilità saranno innumerevoli.
Per questa sera, due pessimi Mojitos presi ad una festa in strada organizzata da un'associazione studentesca. Festa che, a sua volta, si inserisce in quella che credo sia una festa della musica che pervade tutta la cittadina, rendendola meno placida mentre esiste sotto i Pirenei.
Domani, li salirò per riscendere in Spagna. Parlano tutti di tappa proibitiva, per il dislivello. Staremo a vedere.
Vado a letto prestissimo perchè l'intenzione è quella di alzarsi altrettanto presto.
Sveglia puntata alle 5 e mi addormento, insieme al cuore che, piano piano, rallenta i propri battiti e scivola nel sonno.

Saint Jean Pied-de-Port, 12 agosto 2017

21 aprile 2020

Ostaggi. Non lo siamo tutti?

Sono sul volo Londra-Biarritz.
Fino ad ora, niente di nuovo rispetto ad una normalissima vacanza.
Borse e turisti. Controlli e biglietti in bella mostra.
E bambini.
Un sacco di bambini.
Esseri umani in versione ridotta ovunque. Rumorosi come quelli a grandezza naturale ma più ordinati. Si portano in dote anche la rumorosità dei propri datori di vita e tutto questo raddoppia l'effetto frastuono.
Non ricordavo fosse così.
Forse, ci facevo meno caso. Oppure, cosa alquanto probabile, l'esplosione dei voli low-cost ha incentivato il portarsi la prole, come bagaglio a mano aggiunto.
All'aereoporto di Londra, mentre mangiavo panino-acqua-caffè-a-sole-11-sterline, osservo una famiglia padre-madre-due-figli.
Sembravano piuttosto organizzati. Avevano addirittura un aggeggio per non far sporcare i bambini, durante il pasto. Un marchingegno frutto dell'incesto tra un bavaglino ed un telo da barbiere. Con buona pace di Mendel. Sicuramente, l'aspetto più curioso era il fatto che fossero una congrega di umani completamente prole-centrica. Con buona pace del Grande Dio dei Single (GDS).
Tornando al fiero, e sopratutto conveniente, pasto, noto sempre con piacere che, passati in controlli e avendo diritto a stazionare nel magico mondo del duty free, si possa assistere ad un'esplosione dei prezzi. Una salita verso l'alto del costo di qualsiasi bene commestibile (e non). Con buona pace della Convenzione di Ginevra e dei diritti dei "prigionieri di terra".

In cielo tra Londra e Biarritz, 12 agosto 2017

20 aprile 2020

Prima dell'alba

Partito subito male.
Non sento la sveglia delle 5:00 e mi alzo due ore dopo perchè I., che mi deve accompagnare all'aereoporto, mi telefona.
Fortunatamente, sono campione olimpico di anticipo e riesco ad arrivare in tempo lo stesso.
Adesso, sono al gate. Questo è solo l'inizio del viaggio verso il vero inizio.
Domani mattina, presto, inizierà il Viaggio.
Sarà viaggio, nel vero senso del termine.
Uno spostamento, a piedi, da un punto ad un altro.
Attraverso luoghi e persone. E, perchè no, dentro me stesso.
Con ancora le scarpe slacciate, l'intenzione è quella di allontanarmi dalla quotidianità, dopo due anni senza soste, tra lavoro, studio e casa. E musica.

Nei giorni scorsi ho pensato, anche in maniera confusa. Mi sono chiesto che senso possa avere, per me, il prendere uno zaino e mettersi a camminare.
Non ho motivi religiosi.
Non ho motivi spirituali.
Mai amato camminare in montagna.
Quando ero piccolo, mio padre organizzava vacanze in montagna. Tutti al mare e noi in Val Gardena. Una volta li, venivo costretto alla passeggiate tra i rifugi. In alta quota. Ed il mio peso era inversamente proporzionale al mio entusiasmo.
Inoltre, non potevo neanche bermi una birra, per motivi anagrafici...
E torno all'interrogativo iniziale: perchè mi sto mettendo in cammino? Ancora non mi è chiaro.
Invece, chiarissimo è un altro sentimento molto diffuso, anche se quasi mai palesato: la paura.
Paura di non farcela.
Paura di annoiarmi.
Paura di restare sempre solo. Non sono particolarmente abituato a legare con sconosciuti. In altri viaggi è successo ma non partivo mai solo.
Potremmo restare soli per tutto il tempo: la strada ed io.
E potrebbe benissimo essere del tutto accettabile.
Solo con la strada, starò a vedere se, con l'andare dei chilometri, facce ignote diventeranno familiari.

Pisa, 12 agosto 2017

Riprendo un vecchio post, mi immergo e provo a finirlo per ricominciare

Il cliché dell'anziano, oggi, è entrato nell'immaginario collettivo come una figura con le mani giunte dietro la schiena che osserva un cantiere. Meglio se dando consigli o commentando con i propri simili.
Io, purtroppo, ho ancora qualche anno prima di potermi unire a tale combriccola. 
Sono, però, troppo avanti con le lune per far parte del meraviglioso mondo dei gggiovani. 
I giovani di oggi vanno a comandare, comprano esami all'università, portano il cappello con la visiera dritta, o ciufferie che sfidano le leggi della fisica. 
Il giovane non ascolta musica. La subisce. 
Talent e radio lo addestrano a riconoscere solo determinate sonorità.
Gli "artisti" un po' seguono le mode, un po' le lanciano. Il confine è molto sottile. 
La sola cosa che conta è tenere l'ascoltatore in una zona di comfort auditivo. Quasi a non voler spaventare il fruitore medio che, per onor della verità, può anche non essere giovane.
Questo porta ad una situazione di stallo: da un lato, si perde la curiosità; dall'altro, si perde il motivo principale per fare "arte".
Chi ascolta resta in piedi senza scoprire niente di nuovo.
Chi produce si siede comodo sul divano del già sentito.
Non voglio dire che, anche in passato, la musica non fosse produzione e vendita di qualcosa ma, negli anni, il lato commerciale è diventato predominante. Forse, sarebbe più corretto dire "commerciabile".
In tutto questo, nutro una grande invidia per tutti quelli che: ascoltano la radio, "la musica mi piace tutta", "hai sentito l'ultima canzone di...", ecc...
Sono persone musicalmente ingenue con una grande fortuna: hanno tantissima musica da scoprire.
Spero prendano uno zaino, una sacco a pelo ed una tenda e si avventurino in un trekking a ritroso nel tempo che li conduca a conoscere artisti e dischi che, ad oggi, ignorano.