23 febbraio 2016

Il mio nome è Culo, Botta di Culo

Ho visto Spectre, l'ultimo film con protagonista James Bond.
L'agente segreto, parto della mente di Ian Fleming, mi è sempre piaciuto.
Il personaggio è stereotipato ma affascinante.
Le storie semplicistiche ma coinvolgenti.
Un film di Bond presuppone sempre degli snodi chiave, un ritorno continuo al già conosciuto che ci porta in una zona di comfort cinematografico che crea tranquillità nello spettatore.
I classici momenti 007:

  • "il mio nome è Bond, James Bond"
  • il martini: agitato e non shakerato
  • la prima donna della pellicola che si porta a letto, di solito, muore
  • ne arriva una seconda
  • a volte, una terza
  • i gadget da spia di Q
  • Q
  • M
  • Miss Moneypenny, la segretaria che si farebbe volentieri un giro con la pistola di 007
  • il lancio del cappello, tanto per attizzare la povera segretaria
  • il fascino guascone del protagonista
  • almeno una scena con lo smoking indosso
  • almeno una scena di inseguimento con una macchina figa, resa ancora più figa di gadget di Q

L'ingresso del cattivo, spesso un gattaro, è un altro snodo chiave.
Fino a quel momento non è mai molto chiaro quale sia il reale pericolo per il mondo. Cioè, Bond lo sa o, secondo me, fa finta di saperlo.
Quello che non torna mai è il momento in cui il cattivo cattura Bond. Di solito, perchè il genio dello spionaggio lo va a trovare, lo sfida a poker, gli tromba la fidanzata, gli passa avanti in fila alla posta.
Inoltre, una volta catturato il simpatico guascone delle terre di Albione, prima di ucciderlo, il manigoldo fa lo spiegone del piano criminale, dando al nostro eroe le informazioni per sventarlo.
E può anche andar bene. Ormai lo sta per uccidere.
Il problema sorge quando sceglie il metodo.
Un colpo di pistola in faccia sarebbe veloce e sicuro. Invece, questo genio del male sceglie sempre metodi complicatissimi e, per non sbagliare, neanche aspetta di vederlo morire.
Se ne va. Così. Come uno che ha parcheggiato al supermercato ma non controlla mai di aver chiuso la macchina.
L'eroe con più culo che anima, complici le quindici ore che ci vogliono perchè il metodo scelto per mandarlo a trovare i suoi avi passino, trova il modo di salvarsi ed ha tutte le informazioni necessarie per salvare il mondo. Da solo.
Il piano perfetto e infallibile si rivela una mezza stronzata. Di solito, basta spengere un computer, premere un pulsante, togliere una scheda da un missile, abbonarsi a Vanity Fair., fare la giravolta e farla un'altra volta.
L'eroe vince e se ne va con l'unica che si è portato a letto rimasta viva, facendo perdere le proprie tracce ai servizi segreti di sua maestà. Questi ultimi sono composti, per lo più, da un'armata di rincoglioniti che non capiscono mai il reale pericolo che corre il mondo e, per non farsi mancare niente, vengono perculati per tutto il film dal donnaiolo alcolizzato con il doppio zero.

Ed ecco il quadro che esce fuori.
Siamo di fronte ad un eroe sessualmente promiscuo e che non usa precauzioni, dedito all'alcol ed al gioco d'azzardo. Come se non bastasse, dopo aver bevuto, non solo guida, ma si mette anche a sparare. L'agenzia governativa di cui fa parte non ha mai idea di cosa stia succedendo, di dove sia lui, di dove siano finite le chiavi di casa e di chi abbia lasciato la tavoletta cel cesso alzata.
Il cattivo parte bene ma poi si caga tutto nel finale perchè fa piani complicati, li spiega a chi cerca di fermarlo e li dota, sempre, di meccanismi di interruzione da scappati di casa.

Chiudo con un pensiero opinabile. L'ultimo Bond, Daniel Craig, non si affronta: è basso, tarchiato, sgraziato, con la faccia da carpentiere più che da geniale spia. Per me, 007 è Sean Connery. Anche con il parrucchino. Punto.

19 febbraio 2016

C'era una volta...

Fat Moe: Noodles, cos'hai fatto in tutti questi anni?
...

Noodles: Sono andato a letto presto...

18 febbraio 2016

Aforismi #6

La fortuna è che esistono persone che, senza sforzo, cancellano i bei ricordi

Come te nessuno mai. Pt. 2

Per gli amanti del basket. Per gli amanti del GIOCO. Per gli amanti del più grande performer sportivo di tutti i tempi...oggi era Natale.
53 anni fa nasceva MJ.
Adesso Natale è finito.
Oggi, ho letto un sacco di cose belle su Michael Geoffrey Jordan.

Quel 23 in maglia UNC e poi Bulls e poi Wizards.
Alcuni aspetti impressionano.
Un aspetto è la potenza economica e di brand che ha messo in piedi. Vedo sti ragazzini che indossano roba con il JumpMan sopra e, secondo me, non sanno chi sia, non lo hanno mia visto giocare e non ne comprenderanno mai l'eterna grandezza.
Altro aspetto è il ricordo di quelli che "c'erano". Di quelli che erano bambini insieme a Magic e Bird e sono diventato uomini, volando insieme a lui.


E no! non siamo vecchi, cazzo! Siamo solo fortunati perchè abbiamo assistito. Io posso dire: C'ERO!!!
Questo secondo aspetto è il mio preferito, quello romantico della faccenda.
MJ ci ha fatto LETTERALMENTE sognare!

Credere che l'impossibile fosse ormai possibile.
E' stato IL gioco della pallacanestro, è stato IL nostro eroe, è stato UN uomo con una vita personale discutibile (va detto), è stato fonte d'imitazione per qualunque ragazzino abbia preso un pallone in mano, in una qualsiasi giorno dell'anno, in un qualsiasi campetto di periferia.

Per onestà di cronaca personale, anche il giorno di natale (quello dei cristiani), anche con 3 gradi, anche dopo il pranzo in famiglia.
Jordan non è solo STATO, Jordan E' la pallacanestro: più si avvicinava al cielo, più ci avvicinava alla palla a spicchi.
Natale è finito.


Riavvolgiamo il nastro e ripartiamo dall'inizio.
MICHAEL GEOFFREY JORDAN ! ! !

PS: ora la smetto di scrivere di lui da tutte le parti...fino al prossimo anniversario ;)

17 febbraio 2016

Come te nessuno mai

Roma. 1998.
Sono da mio fratello, sulla Cassia. Una casa di studenti/lavoratori un pò tutti parecchio cazzoni.
C'è il guru di sinistra che ama poco lavarsi perchè tende a lavare di più la propria mente con letture impegnate.
C'è quello che lavora al mauriziocostanzoshow ma nessuno ha capito facendo cosa: potrebbe essere il porduttore così come l'usciere.
C'è mio fratello, studente di economia in prestigiosa università privata.
C'è il pentatleta tutto muscoli e sostanze strane.
E' finita la scuola. Ci sono le NBA Finals.
Il commento è affidato ad Ugo Francicanava. A molti questo nome non dirà niente, per altri, come me, era la voce roca che ti salutava con "amici dell'iperbasket!".
Nella noia di inizio estate, in una città che non abito da almeno 6 anni, mi guardo le finali NBA.
Ci sono i mormoni di Salt Lake City, gli Utah Jazz. Hanno in Stockton-Malone una delle coppie play-centro più devastanti della storia del gioco. Stockton mente cestistica sopraffina, un pò figlio di troia ma va bene. Malone, Carl Malone, THE MAILMAN. Chili di muscoli e tecnica e visione di gioco.
Non hanno mai vinto niente ma, si dice, avrebbero meritato. Purtroppo sulla loro strada hanno incrociato la più terrificante macchina da pallacanestro che, forse, si ricordi: i Chicago Bulls di, prego inginocchiarsi, MICHAEL JORDAN!
Ricordo che guardavo queste partite trasmesse da TMC2, se non sbaglio. E ammiravo il gioco ed il suo interprete migliore.
Ogni tanto veniva il povero pentatleta con il cervello in pappa per dirmi, a rotazione, due frasi:
1. (gonfiando i muscoli e canticchiando) "ma quando ce lo avrai un fisico così..."
2.(sempre gonfiando i muscoli, senza canticchiare ma alitandomi in faccia) "ma quando ce lo avrà un fisco così il tuo MIKE Jordan?
Ora, almeno il nome poteva impararlo. Poteva parlarmi da un pochino più distante. Poteva arricchire il suo parco espressivo. Poteva tacere, volendo.
Io lo guardavo con l'aria di chi fa parte di un mondo superiore (diciamo il mio solito modo di guardare gli altri...).
Pensavo che mentre io ero testimone della grandezza sportiva, lui era completamente fuori strada.
Non voglio esser frainteso, era anche simpatico e questo siparietto quotidiano è entrato nella top-ten dei racconti di famiglia.
Mentre lui gonfiava i muscoli, canticchiava e storpiava il nome del mio eroe, io mi guardavo la STORIA.
Storia che si è chiusa con THE LAST SHOT. Un ricordo indelebile. Un'emozione incredibile.
Vittoria e sesto titolo per uno che è stato il più grande di tutti, è stato quello che nessuno sarà mai ma che tutti vorrebbero essere.
Oggi ne fa 53.
Ho voluto ricordare la tua grandezza in questo modo.
CHAPEAU!

16 febbraio 2016

Dello scrivere

Scrivere è sempre stata una cosa che mi piace molto.
Ho scritto canzoni, piccoli racconti incompleti, lettere.
Ma anche post tipo questo.
Scrivere è sempre stata una cura incredibile. Spesso è stata un'urgenza che mi permetteva di buttare fuori alcune cose, per sentirmi più leggero.
Ecco! Se volessi dare una definizione sarebbe: scrivere è un'urgenza. Incontrollabile, inarrestabile e insopprimibile. 
Non tutti gli scritti sono uguali, chiaramente.
Una lettera, ad esempio, è, di per se, molto strana.
Parte dal presupposto che si stia parlando con qualcuno che, in quel momento, non è presente.
Questo qualcuno la leggerà per conto proprio. Quindi, il tempo e lo spazio che separano mittente e destinatario possono fare molta differenza per quanto riguarda la percezione del messaggio.  Inoltre, mentre si scrive, si immaginano le reazioni di chi leggerà. Su questo aspetto, si tenderà a tirare ad indovinare
Una canzone è tutto un altro sport. 
È, di solito, ispirata ad alcuni fatti. Pubblici o privati. E si arroga il diritto di esprimere il mio punto di vista in poche righe e parole. Parole che dovranno anche suonare!
Molte volte è stata una persona ad ispirare la canzone. Il classico: questa canzone l'ho scritta per...oppure...è dedicata a...
Come ho avuto modo di dire più volte, il bello di una canzone scritta per qualcuno è che, se tutto finisce, la canzone resta. Come un figlio. Lo fai in due ma poi sarà grande ed andrà via con le sue gambe. 
Un post è molto strano di per sè. Un blog è una sorta di diario ma, mentre scrivo, so che è pubblico e quindi leggibile da chiunque. Teoricamente. Questo mette un pò di freno ad una sincerità senza macchia. Diciamo che si potrebbe tendere ad omettere.
Ma forse è la vita che è così: preferiamo omettere piuttosto che guardare in faccia la realtà.

Momenti

Ci sono dei momenti nei quali è meglio impacchettare i propri pensieri e riporli in soffitta.
Ci sono momenti nei quali capisco che esternare sempre tutto non è una cosa che rende le cose facili, a me e agli altri.
Ci sono momenti nei quali le altre persone non han bisogno di filosofi.
Ci sono momenti nei quali non devo mollare ma solo fare un passo indietro perchè, continuare ad avanzare, non serve più a niente.
Ci sono momenti nei quali spero che altri SAPPIANO certe cose senza che io le debba ripetere allo sfinimento.
Ci sono momenti nei quali è meglio tornare ad abitare il proprio cono d'ombra.
E lì restare.
In silenzio.
Perchè si ha paura di nuocere mentre si vorrebbe fare bene.
Ci sono momenti che vanno aspettati e che arriveranno.
Ci sono momenti che non sono adesso.

15 febbraio 2016

Any given inch

Non so cosa dirvi davvero.
Tre minuti alla nostra più difficile sfida professionale.
Tutto si decide oggi.
Ora noi o risorgiamo come squadra o cederemo un centimetro alla volta, uno schema dopo l'altro, fino alla disfatta.
Siamo all'inferno adesso signori miei. Credetemi. E possiamo rimanerci, farci prendere a schiaffi, oppure aprirci la strada lottando verso la luce. Possiamo scalare le pareti dell'inferno un centimetro alla volta.
Io però non posso farlo per voi. Sono troppo vecchio.
Mi guardo intorno, vedo i vostri giovani volti e penso "certo che ho commesso tutti gli errori che un uomo di mezza età possa fare". Si perché io ho sperperato tutti i miei soldi, che ci crediate o no. Ho cacciato via tutti quelli che mi volevano bene e da qualche anno mi dà anche fastidio la faccia che vedo nello specchio.
Sapete con il tempo, con l'età, tante cose ci vengono tolte, ma questo fa parte della vita. Però tu lo impari solo quando quelle cose le cominci a perdere e scopri che la vita è un gioco di centimetri, e così è il football. Perché in entrambi questi giochi, la vita e il football, il margine di errore è ridottissimo.
Capitelo.
Mezzo passo fatto un po' in anticipo o in ritardo e voi non ce la fate, mezzo secondo troppo veloci o troppo lenti e mancate la presa.
Ma i centimetri che ci servono, sono dappertutto, sono intorno a noi, ce ne sono in ogni break della partita, ad ogni minuto, ad ogni secondo. 
n questa squadra si combatte per un centimetro, in questa squadra massacriamo di fatica noi stessi e tutti quelli intorno a noi per un centimetro, ci difendiamo con le unghie e con i denti per un centimetro, perché sappiamo che quando andremo a sommare tutti quei centimetri il totale allora farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta, la differenza fra vivere e morire.
E voglio dirvi una cosa: in ogni scontro è colui il quale è disposto a morire che guadagnerà un centimetro, e io so che se potrò avere una esistenza appagante sarà perché sono disposto ancora a battermi e a morire per quel centimetro.
La nostra vita è tutta lì, in questo consiste. In quei 10 centimetri davanti alla faccia, ma io non posso obbligarvi a lottare. Dovete guardare il compagno che avete accanto, guardarlo negli occhi, io scommetto che ci vedrete un uomo determinato a guadagnare terreno con voi, che ci vedrete un uomo che si sacrificherà volentieri per questa squadra, consapevole del fatto che quando sarà il momento voi farete lo stesso per lui.
Questo è essere una squadra signori miei.
Perciò o noi risorgiamo adesso come collettivo, o saremo annientati individualmente. È il football ragazzi, è tutto qui. Allora, che cosa volete fare?

Coach Tony D'Amato - Any given Sunday

14 febbraio 2016

Niente suona per caso

Nel nuovo disco dei Marlene Kuntz, c'è questo brano. Niente da dichiarare.

Un attimo divino

Un groppo in gola e la tua voce
si è sgretolata un po':
un pianto di liberazione
ti stava per invadere.
Dal mio telefonino
immagino la rinascita
degli occhi tuoi fatati, lucidi
e pronti a risplendere.

E penso alla tua fulgida
bellezza nobile
quando sei commossa e fragile

E' stato un attimo divino
di transito
dalla disperazione a una gioia
diffusa e palpabile
Così che pur essendo
lontano chilometri da te
si è propagata la vibrazione
di un lampo inenarrabile

Eppure gli spettri
agitano i tuoi sonni
e il mattino
Spesso ti accoglie sciupata.
Ombre di cupe angosce
velano il tuo sguardo
spento, avvilito, snaturato.
Me ne parli con premura e dignità,
e mi uccide saperti così.

Ma io ti stringerò
quando sarai con me
e quelle lacrime
una ad una asciugherò.

Si io ti stringerò
quando sarai con me
e dalle lacrime
tornerai a sorridere

Sono il nome del padre e del figlio

Io sono una cazzo di generazione di mezzo.
Non la mia generazione.
Sono proprio io ad esserlo.
Quelli della mia età hanno messo su famiglia.
Dopo aver sognato, per anni, il cane, la staccionata bianca, i figli ariani come nella migliore tradizione del mulinobianco, praticamente tutti si sono ritrovati con dei figli normali, con mogli (mariti) ingrassati dalla vita matrimoniale, a vivere in appartamenti senza staccionate e con animali domestici che cagano in ogni angolo.
E hai voglia a ritrovarti la mattina a far colazione tutti insieme e tutti sorridenti. Mi sa che non c'è proprio niente da ridere. L'educazione dei bambini, il lavoro, i conti di casa, le prossime vacanze , le cene dai suoceri: tutte cose che non fanno ridere per niente.
Però, Ramos, c'è l'amore e la condivisione!
Si, finchè non arriva il postino ventenne o la segretaria avvenente.
Naturalmente, sto generalizzando e nutro grossa stima per chi decide di condividere il resto della propria vita coinvolgendo anche terze persone basse che non lo avevano chiesto.
Io, dicevo, sono la generazione di mezzo.
Avrei l'età per finire come loro ma vivo come se avessi l'età di quelli nati un decennio dopo di me.
L'unico vantaggio è che lo faccio con la maturità di chi ha le proprie foto da piccolo stampate in bianco e nero.
Sono la generazione di mezzo.
Potrei essere il padre: sono attento, tendo a indirizzare i miei simili verso le scelte giuste, sono apprensivo, sono severo quanto basta, cerco di risolvere problemi anzichè crearli, mi assumo le mie responsabilità.
Potrei essere il figlio: sono sempre pronto a partire, adoro le novità, me ne fotto di quello che succederà nei prossimi anni, faccio scelte sbagliate ma oneste, tendo ad incasinarmi la vita, cerco di nascondere le mie responsabilità, non ho un piano a lungo termine, figuriamoci un piano B.
In ogni caso, sono onesto, qualunque sia il ruolo del momento. Anche se spesso credo non ci siano momenti ma sia tutto molto complesso. Credo di essere io, molto complesso.
Sono pesante ma anche leggero. Intelligente ma so far bene lo stupido.
Un buon esempio che mi riassume riguarda i miei gusti cinematografici: amo i cosidetti film d'autore e poco accessibili ma guardo anche le peggiori cagate mai prodotte dal supposto ingegno umano.
Insomma, sono ferro ma anche piuma, lavoro e ozio, affabilità e antipatia smisurata.
Sono la generazione di mezzo: sono il padre ed il figlio.
E per lo spirito santo? Niente. Mi accontento del vino.

13 febbraio 2016

Due facce della stessa medaglia

Roma. Seconda metà degli anni ottanta.
Sono sul 446 che risale via Cortina d'Ampezzo.
Sono con i soliti amici. Tra loro c'è un mio vicino di casa che, da un pò di tempo, ha un comportamento nei miei confronti che non mi piace per niente. 
Dalla mia bocca esce questo: "tu mi stai sul cazzo".
Toscana. Primo decennio del nuovo millennio.
Dopo un partita di basket, mi ritrovo con alcuni amici. Tra di loro c'è uno che, dopo avermi detto di considerarmi suo grande amico, è andato in giro a parlare male di me.
Lo prendo da parte e gli parlo. Gli dico, molto semplicemente, di smettere di parlare di me. Qualunque sia il modo. E che, se vuole essere mio amico come dice, ci sono delle regole di comportamento. Lui si mette a piangere. Non pensavo di far così paura.
I primi due aneddoti che mi vengono in mente per capire che, negli anni, sono arrivato alla conclusione che le cose bisogna dirle.
In questi due casi si tratta di cose non proprio piacevoli ma il tutto può essere allargato anche al bello che ci può essere.
Ho capito, negli anni, che, se voglio bene a qualcuno, glielo devo dire e dimostrare.
Ho capito che, se ad una persona ci tengo, non devo aver paura di scoprirmi.
Ho capito che, se ne vale la pena, non posso lasciar perdere. Posso aver pazienza ma non seppellire tutto dentro.
Ho capito che le cose belle vanno esternate. Certo, vale anche per le cose brutte ma con quelle è più semplice.
L'unico rischio è quello di scoprirsi, di rendersi vulnerabili, di mostrare il fianco per essere colpiti.
Ma sono stato colpito così tante volte che ormai rischio di non sentire più male. Solo un fastidio.
Nonostante questo sono diventato sempre più chiuso.
Credo sempre di vivere in un mondo che sta li e non vede l'ora di farmi a pezzi. Un mondo che mi vuole in posizione di guardia, pronto a colpire.
Invece, io voglio solo accarezzare e non colpire.
Voglio essere libero di esternare i miei pensieri ed i miei sentimenti. e poi vedremo quel che succede.
Le situazioni non sono tutte uguali, le persone non lo sono.
Per almeno due anni e mezzo ho imparato a bastare a me stesso. A non dover cercare altri che non fossi io. A fuggire determinate situazioni.
Ho vissuto solo a metà. Stavo bene? Si, certo. Ma ho sempre avuto la sensazione che qualcosa mancasse: un lampo, una scintilla, un bagliore che illuminasse il buio che ho dentro.
Quindi capire che essere onesti con se stessi e poi con gli altri, che dire quello che si pensa senza nascondersi, fa bene anche se è rischioso mi da una sensazione totale di leggerezza.
Il benessere dell'onestà ed il possibile malessere della vulnerabilità.
E' un pò come dice la canzone della band di Athens, Georgia: è la fine del mondo ma mi sento bene.

11 febbraio 2016

Aforismi #5

"Andrà tutto bene, alla fine. E, se non andasse bene, allora, credetemi, significa che non è arrivata ancora la fine..."
(Marigold Hotel)

Aforismi #4

Il segreto sta nello smettere di combattere il vecchio, se si vuole costruire il nuovo. 

(Questa arriva da Socrate)

10 febbraio 2016

Aforismi #3

Mai fidarsi di un uomo che non piange mai. Nasconde sempre qualcosa.

Esce dalla memoria: canzone

Riascolto questo disco. 
Dentro c'è una canzone.  
Questa canzone è parecchio vecchia. Meno di me.
Siamo circa all'inizio degli anni 90. La band che la suona sta letteralmente per esplodere sulla scena musicale. Da Seattle alla conquista del mondo. 
La canzone tratta il lato B dell'amore. La sua parte meno colorata, quella nera. 
La sensazione è quella di una persona che si sta aggrappando al ricordo di una cosa svanita per non andare a fondo. 
Tutto ormai è nero: il loro amore, l'aria che si respira fuori, ogni sensazione. 
Lui l'ha perduta e si aggrappa forte a quello che c'è stato. 
Lui potrebbe odiarla, potrebbe odiarsi ma, alla fine del brano, c'è un'apertura inaspettata. 
Lui le augura il meglio, le augura una vita bellissima, le augura di essere una stella nel cielo di qualcun altro. Anche se non sarà il suo, di cielo. 
Ma lui sa che si appartengono e questo porta tutto su di un altro piano, fa vedere tutto sotto un'altra ottica. 
La mia canzone preferita di sempre e per sempre.
Occhi lucidi, tristezza, speranza a e consapevolezza che niente li potrà separare.
Una canzone che mi farà stare bene all'infinito. Anche se triste.
Ma in fondo, ogni cosa bella ha un lato B che va ascoltato ed apprezzato perchè esiste.

"...I know someday you'll have a beautiful life,
I know you'll be a star 
In somebody else's sky, but why        

Why, why can't it be, why can't it be mine  
WE BELONG TOGHETER..."             


Signore e signori, Black!


9 febbraio 2016

Premettendo che

Io vorrei capire il gusto che si può provare nell'ascoltare il rap italiano contemporaneo.
Io ricordo i 99 Posse ed i Sangue Misto: roba nuova e bella potente. Artisti in grado di avere una propria identità ben definita.
Quindi, davvero, come si possono apprezzare i moderni rapper?
Premesso che sembrano vocalmente tutti uguali. 
Premesso che a livello ritmico sembrano tutti uguali. 
Premesso che i rapper nostrani son fatti con lo stampino: vengono dalla strada, hanno avuto una vita difficile ma ne sono usciti e adesso ci spiegano la vita, l'amore, la droga e la figa. 
Premesso che ormai le strade dovrebbero essere deserte perchè da lì vengono tutti. 
Premesso che fare la brutta copia del rapper che viene dai ghetti americani fa parecchio tristezza.
Premesso che i testi, al di là della capacità di fare rime, sono agghiaccianti per argomenti trattati e modi per trattarli. 
Ecco, premesso tutto questo, credo non serva aggiungere altro: le premesse già spiegano tutto. 

Aforismi #2

1.Bisogna farsi domande serie per avere risposte serie

2.La vita ci tiene periodicamente lontani come per farci prendere la rincorsa

Scala di valori

Una donna quando si ammala, anche con la febbre a 40, continua la propria quotidianità in maniera normale. Magari sta male, è rallentata, ma va avanti.  Chiaramente, attaccandola a tutti quelli che incontra.
Un uomo misura la propria temperatura su una scala da zero a "mi hanno sparato". Avvicinandosi quasi sempre al massimo. 
Tira fuori vestaglie improponibili per stare in casa, pretende brodo di gallina anche se non gli piace, si aggira per casa come se fosse stato colpito da un meteorite. 
I capelli arruffati e lo sguardo vitreo sono la sua maschera di carnevale. 
Il rumore delle sue ciabattone sul pavimento ricorda il T-Rex di Jurassic Park. Quando non rinuncia a camminare ed inizia a pattinare. Come Nancy Kerrigan ma dopo l'aggressione del 1994.
Il letto diventa il suo trono e la TV l'amico che gli è mancato per anni. 
Proprio la TV regala il peggio. 
Costretto, o auto-costretto a stare a letto, finisce per vedere qualsiasi programma. 
Barbara d'Urso diventa la sua eroina instancabile e, pur di vedere 22 ominidi coi mutandoni che corrono dietro ad una sfera, si ritrova a guardare improbabili partite di improbabili campionati under 10 che vengono trasmesse, via satellite, dalle televisioni straniere. 
La sola cosa da fare sarebbe lasciarlo morire da solo. Come i gatti.
In un letto di dolore e briciole...

Esce dalla memoria: fotografia

Ho questa foto di pura gioia...no, questa è una canzone.
Ricominciamo.
Ho questa foto. In bianco e nero.
Ci sono due ragazzi che si guardano. Dietro di loro si vede la scritta "sport" di un negozio che non c'è più.
Lui indossa una maglietta di Superman sopra ad un'altra con le maniche lunghe, secondo una moda che si è portato dietro dagli anni novanta.
Lei ha i capelli scuri, legati, una giacca scura, un orecchino che pare fatto con la linguetta di una lattina. Ma forse non è così.
Lui beve da un bicchiere.
Lei lo guarda. Ha probabilmente un bicchiere anche lei.
E lui ricambia lo sguardo.
Lui ricorda bene quel giorno, quel pranzo in strada, l'alcol e la fatica e tutte le sensazioni che respiravano in quei momenti. Quando ancora si respiravano le possibilità molteplici che potevano arrivare.
Lui ricorda un foglietto con sopra il suo nome ed un cuore disegnato.
Gli torna in mente il continuo incontrarsi e sfiorarsi per strada. Per fermarsi. Come, con ogni probabilità, era successo pochi attimi prima che la foto venisse scattata.
Lei, probabilmente, lo ricorda ugualmente.
Lei, oggi, è lontana. Lei, oggi, lo ha allontanato ma senza rancore. Come succede quando la vita accellera e prende altre direzioni.
Lui spera che, oggi, lei sia felice. Lo spera davvero e, in alcuni momenti, sente dentro di se che è proprio così.
Lui non si è mai perdonato alcune cose. Lui non si è mai perdonato. Fino a questa notte. Nel buio silenzioso ha capito che, adesso, si può perdonare e ricordare senza maledirsi. Sa che si può perdonare perchè ha lasciato che le cose andassero in un certo modo solo perchè era la cosa migliore per entrambi.
Lei, probabilmente, non lo ha mai perdonato anche se il rancore si è diluito in una pozzanghera di ricordi in movimento.
Lui, questa notte, la pensa e le manda un abbraccio.
E anche se lei non lo saprà mai, lui spera che il suo corpo possa percepire una stretta improvvisa.
L'abbraccio di chi, ormai lontano nel tempo e nello spazio, questa notte, si è perdonato.

"...a tratti percepisco, in assordante brusio, particolari in chiaro..."

8 febbraio 2016

Mexican Standoff

Da una recente riunione di condominio nel mio cervello è emerso quanto segue.
Il mio subconscio mi ritiene incompleto. E gli piace che io lo sia.
Io ritengo di esserlo. E non mi piace.
Io cerco di completarmi.
Lui cerca di lasciare tutto com'è.
Un pò come la vita. Ci sono sempre punti di vista differenti.
Il mondo, gli accadimenti, gli altri e me stesso li posso vedere secondo gli strumenti di cui son stato dotato.
Alcuni me li ha dati la natura; altri, le mie esperienze.
Questo varia molto la percezione che io, rispetto ad un'altra persona, posso avere della stessa situazione.
Questo può portare a non capire in pieno un punto di vista che non sia il proprio.
E ancora una volta, natura ed esperienza, nel loro mix esplosivo, mi possono rendere o meno interessato a capire.
Se ne vale la pena, cerco di capire e tengo duro.
Altrimenti, mollo.
Il guaio è che io non mollo mai. Anche quando la testa direbbe di farlo, ecco arrivare la pancia (o il cuore, se preferiamo una visione più emozionale) che si mette nel mezzo e stabilisce le mie priorità.
Forse perchè così faccio felice il mio subconscio, rimanendo in una situazione di stallo totale e incompletezza.
Ed ecco una nuova versione di stallo alla messicana: subconscio, io ed il mondo.
Ed in quella che sembra solo confusione, ma non lo è, resta sempre un altro "a domani".

Do...e basta

Ci sono delle situazioni nelle quali so di non essere la persona che vorrei essere. Diciamo che tendo a riempire un ipotetico zaino con tutti i miei peggiori difetti. Lo riempio fino all'orlo e m'incammino, lamentandomi del peso. Il peso specifico dei propri aspetti negativi è maggiore rispetto a quello dei  propri pregi.
Altre volte, invece, decido di viaggiare leggero. Mi metto sotto braccio una pila di pregi, di cose positive, di atteggiamenti costruttivi, cose belle e riparto.
La meta? La persona che vorrei essere sempre.
Una persona che ha capito che fare qualcosa per gli altri da belle sensazioni. Forse perchè non c'è abituata.
Una persona che ha capito che non tutto deve essere un do ut des (e spero di averlo scritto bene, altrimenti bella figura di mota). Forse perchè un movimento positivo univoco basta a se stesso.
Una persona che non smetterà mai di essere se, di migliorarsi, di cercare di tollerare di più.
Di cercare.
La ricerca è un viaggio; e non importa la meta ma sono gli ostacoli che la rendono interessante:
ogni scalino salito...
ogni fosso saltato...
ogni ferita subita...
ogni sorriso che si è spento...
sono passi in avanti, verso il proprio personale nirvana interiore.
E non importa se le gambe fanno male, se il cuore batte troppo forte, se gli occhi sono lucidi, i polmoni in sono in fiamme...e se mi resta solo mezzo sorriso.
Basta e avanza

7 febbraio 2016

A volte

Ci sono alcune volte nelle quali mi trovo a dover fare una cosa totalmente nuova.
Magari una cosa che ho visto fare ma che non ho mai provato.
Ecco! Io adoro fare cose nuove. Mi creano una sorta di ansia gioiosa.
Da un lato mi chiedo se ne sarò in grado.
Dall'altro, non vedo l'ora di mettermi alla prova e immagino come potrebbe essere.
La realtà è sempre diversa ma questo non mi impedisce di farlo.
Ogni passo è una sfida. Ogni sfida è un grido d'allarme contro me stesso. Una prova alla quale mi sottopongo volontariamente. Un modo per sentire che sto vivendo e non passando il tempo. 
A volte, vinco. A volte, pareggio. A volte, ci provo e basta. A volte, provarci è la sola vittoria concessa.  

Aforismi

La vita pulsa. E tu dovresti starci nel mezzo

Spaziati e poi spezzati...anzi piegati

Il fatto di trovarsi sul confine per dichiarare le proprie intenzione ha un suo fascino.
Mi piace capire le cose. Mi piace dar loro un senso. Mi piace che lo abbiano.
Non mi piace non capire cosa sta succedendo. Non mi piace il non riuscire a tirare le fila delle situazioni. Non mi piace fallire tentando di ricomporre uno strappo.
Non mi piace fallire.
Mi piace provare con tutte le mie possibilità.
Non in tutti i campi. Quasi sempre quando si tratta di esseri umani.
Resta sempre il dubbio, però, di non aver fatto abbastanza, di non aver detto abbastanza, di non aver preso una strada che poteva portare in un posto migliore.
Il dubbio è quel che resta. Non rimane lo sbagliare o meno. Quando sono in buona, ottima fede non posso sbagliare ma il dubbio resta lì. E' una goccia che scava nella roccia che riveste il mio petto. Filtra nelle sue crepe. Arrugginisce le armature scintillanti che indosso.
Allora provo a ridurre tutto alla logica. A razionalizzare per capire. Ma, come capita ogni tanto, la ragione serve a poco. Non "aver ragione" ma il "ragionare sulle cose".
Tutto, come inizia, poi finisce. Tutte le cose belle hanno una scadenza. Provo a posticiparla ma la realtà dei fatti mi ha insegnato che le cose vanno così come devono andare.
Il baratro irrazionale, però, diventa ingestibile quando sono le cose belle che si autolimitano e si autoditruggono.


"...e intorno tutto va come è sempre andato, e forse andrà sempre così. Tutto è prevedibilissimo, l'ho già vissuto in cento film tutti uguali e mi sento il personaggio di un libro che non mi piace e odio l'autore che mi fa fare queste cose che detesto e non mi fanno minimamente sentire felice e..."

6 febbraio 2016

Taran(top)ten

1. Ha rilanciato il valore assoluto della colonna sonora in un film
2. Ha riportato in primo piano attori ormai persi per strada
3. Ha creato un universo cinematografico che sommato fa un mondo
4. I suoi personaggi sono diventati icone assolute
5. Il vero significato di "Like a Virgin"
6. "Sono il Signor Wolf, risolvo problemi" e "Beh, non è ancora il momento di cominciare a farci i pompini a vicenda"
7. Alcune scene sono, in assoluto, entrate a far parte dei classici del cinema praticamente il giorno dopo l'uscita del film
8. UMA THURMAN!!!
9. La sua cultura pop non ha eguali e le sue continue citazioni sono un valore aggiunto ad ogni scena girata
10. I dialoghi. Azione e avvenimenti a parte, in pochi sanno scrivere conversazioni prive di contenuti alti ma innalzate dalla scrittura

Potete aggiungere nei commenti

2 febbraio 2016

Di sbilanci, sfide e...

Ho questa terribile abitudine a fare sbilanci delle cose.
Si, sbilanci.
Fare un bilancio è troppo facile: nasconde sempre la velata speranza che sia in attivo o, al limite, in pari.
Lo sbilancio, invece, presuppone una lunga lista di cose a sfavore, di cose che non mi piacciono, di cose che non vanno, di cose da regolare.
E tutte queste sono quelle da aggiustare.
Il guaio è che, durante la stesura della lista, vengo colto da una sensazione di sconfitta e sconforto. Ecco...una persona normale, probabilmente, prenderebbe la cosa in maniera negativa. Io la vivo come una sorta di sfida. Entro in quella che io chiamo amabilmente "modalità sfida".
Fare uno sbilancio non vuol dire esser pessimisti. Vuol dire essere realisti. Vuol dire analizzare una situazione partendo dal peggio che c'è. Solo in quel momento posso cominciare a decostruire quel che non mi piace per ricostruire quello che di buono mi interessa.
Non dico sia un modo facile per affrontare le situazioni ma mi permette di applicare un paradigma tanto complicato, quanto banale: problema - soluzione.
Ad ogni problema corrisponde una soluzione.
Esiste la soluzione che risolve ed è la via migliore.
C'è, poi, la soluzione che permette di tollerare. E' una via sul filo dell'equilibrio instabile ma comodo. Un problema che non può essere risolto, necessità di essere governato e gestito. La mente permette di fare questo, apportando continui aggiustamenti ed enormi "chi se ne fotte". E' la regina delle sfide. E' quel lasso di tempo che mi fa sentire vivo, attivo, abile, ingegnoso. E' la somma di quei momenti nei quali mi accorgo che la roba contenuta nella mia scatola cranica ha un suo bel motivo di starci. 
Infine, troviamo la soluzione inesistente. Il modo peggiore di sicuro. Quando soluzione non c'è, resta solo la cancellazione del problema. E, quindi, della situazione. Odora parecchio di resa e di sfida persa ma ci sono casi nei quali la miglior vittoria è una sconfitta onorevole.
In ogni caso, non abbandono mai prima di averci provato. Non abbasso mai le braccia prima che la campanella suoni la fine del match.
"...escape is never the safest path..."