13 febbraio 2016

Due facce della stessa medaglia

Roma. Seconda metà degli anni ottanta.
Sono sul 446 che risale via Cortina d'Ampezzo.
Sono con i soliti amici. Tra loro c'è un mio vicino di casa che, da un pò di tempo, ha un comportamento nei miei confronti che non mi piace per niente. 
Dalla mia bocca esce questo: "tu mi stai sul cazzo".
Toscana. Primo decennio del nuovo millennio.
Dopo un partita di basket, mi ritrovo con alcuni amici. Tra di loro c'è uno che, dopo avermi detto di considerarmi suo grande amico, è andato in giro a parlare male di me.
Lo prendo da parte e gli parlo. Gli dico, molto semplicemente, di smettere di parlare di me. Qualunque sia il modo. E che, se vuole essere mio amico come dice, ci sono delle regole di comportamento. Lui si mette a piangere. Non pensavo di far così paura.
I primi due aneddoti che mi vengono in mente per capire che, negli anni, sono arrivato alla conclusione che le cose bisogna dirle.
In questi due casi si tratta di cose non proprio piacevoli ma il tutto può essere allargato anche al bello che ci può essere.
Ho capito, negli anni, che, se voglio bene a qualcuno, glielo devo dire e dimostrare.
Ho capito che, se ad una persona ci tengo, non devo aver paura di scoprirmi.
Ho capito che, se ne vale la pena, non posso lasciar perdere. Posso aver pazienza ma non seppellire tutto dentro.
Ho capito che le cose belle vanno esternate. Certo, vale anche per le cose brutte ma con quelle è più semplice.
L'unico rischio è quello di scoprirsi, di rendersi vulnerabili, di mostrare il fianco per essere colpiti.
Ma sono stato colpito così tante volte che ormai rischio di non sentire più male. Solo un fastidio.
Nonostante questo sono diventato sempre più chiuso.
Credo sempre di vivere in un mondo che sta li e non vede l'ora di farmi a pezzi. Un mondo che mi vuole in posizione di guardia, pronto a colpire.
Invece, io voglio solo accarezzare e non colpire.
Voglio essere libero di esternare i miei pensieri ed i miei sentimenti. e poi vedremo quel che succede.
Le situazioni non sono tutte uguali, le persone non lo sono.
Per almeno due anni e mezzo ho imparato a bastare a me stesso. A non dover cercare altri che non fossi io. A fuggire determinate situazioni.
Ho vissuto solo a metà. Stavo bene? Si, certo. Ma ho sempre avuto la sensazione che qualcosa mancasse: un lampo, una scintilla, un bagliore che illuminasse il buio che ho dentro.
Quindi capire che essere onesti con se stessi e poi con gli altri, che dire quello che si pensa senza nascondersi, fa bene anche se è rischioso mi da una sensazione totale di leggerezza.
Il benessere dell'onestà ed il possibile malessere della vulnerabilità.
E' un pò come dice la canzone della band di Athens, Georgia: è la fine del mondo ma mi sento bene.

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