7 ottobre 2009

In da house.

Da quassù posso dominare chi sta in basso.

Non posso sentire cosa si dice la gente ma posso indovinarne gli stati d'animo. Osservandoli.
Nell'angolo alla mia destra, appoggiato ad una colonna, un tipo che non si diverte, non è felice, si sente estraneo al luogo in cui si trova.
E' un triste e solitario contrappunto ai due ragazzi che si baciano felici. A due passi da lui. Senza rispetto. O è lui che non ha rispetto per la felicità? I due potrebbero essere ovunque, ebbri l'uno dell'altra. Ogni contatto delle labbra è come un bel sorriso.
La poesia si interrompe volgendo di poco lo sguardo. Un passaggio da mano a mano. Soldi in cambio di una promessa di paradiso. Non mi serve sapere cosa sia. So che è un paradiso artificiale. So che entrerà nella testa dell'acquirente, che, di conseguenza, si potrà sentire potente, euforico, allegro, esagerato. Non condivido. Non mi piace l'idea che certi posti possano diventare porto franco per esperienze di questo tipo. Angoli all'ombra della legge nei quali tutto sia permesso. Le regole non c'entrano, non sono mai entrate nella mia vita. La sensazione di approfittarsi di un ambiente. Questo mi infastidisce.
Eccolo là. Immancabile. Lontano dai ritmi della serata. Si muove rallentato. Accenna a seguire il movimento ed i battiti degli altri presenti. Regge per, forse, cinque o sei secondi. Dopo il nulla.
La sua camicia sudata volge lo sguardo verso l'aspirante velina (o ministro?). Anche lei risponde avidamente all'appello. Desiderosa di esserci, di farsi vedere, di piacere e di negarsi. Un tipo di masturbazione che non fa diventare ciechi ma che, alla lunga, potrebbe sprofondarla nella solitudine di un rapporto di convenienza. Menzogne e denaro.

Io continuo a fare quello per cui mi pagano. Offro, o vendo, suoni. Come fili di un burattinaio, fanno muovere le persone in pista. Sono io che decido. Sono io che detto i tempi.
Magra consolazione di fronte ad un panorama umano che non capisco più. E che non tollero.
(continua...)

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