27 aprile 2011

25 Aprile

Mi svegliavo nel cuore della notte con un senso di ansia. O angoscia. O, in realtà, era solo paura visto che ero piccolo. Quelle cose da "c'è un mostro sotto il letto!!!". E chiamavo mia mamma. Non mi alzavo neanche, bastava urlare e lei arrivava. Lei, e solo lei, riusciva a tranquillizzarmi in quei momenti. O in altri. C'era sempre. A dir la verità, c'è ancora oggi ma, da grandi, si tende meno a correr dai genitori. Anzi, non si tende per niente.
Concettualmente era una persona che mi tranquillizzava.
Ancora oggi potrebbe farlo se non vivessi in una torre di segreti e omissioni dati dall'età.
Ma ora, se mi sveglio nel cuore della notte o se ho bisogno alla luce del sole, non la chiamo.
Si cresce, i problemi assumo aspetti poco genitoriali e si passa agli amici per confidarsi.
Anche gli amici, però, "se ne vanno" e non so dove sbattere la testa in mancanza di un certo tipo di confronto intellettivo-emozionale.

La ricerca di consolazione irrompe su queste pagine più come sfogo che come altro.

Allora mi metto a guardare una foto recente. Non ci sono io e non l'ho fatta io.
Ritrae un pranzo in strada. In primo piano c'è una bambina con un vestitino rosso ed un palloncino blu. Sta giocando mentre i genitori sono dietro di lei a tavola. Sullo sfondo uno striscione che inneggia al non perdere la nostra umanità anche di fronte alle cose peggiori di cui siamo capaci. Sembra quasi che lei sia l'incarnazione di questo proposito: restiamo bambini. Restiamo innocenti e curiosi. Giochiamo e non facciamo del male.
Agli altri e a noi stessi.

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