5 aprile 2012

Dreams & Visions


Vedo un uomo seduto alla scrivania. Ha un computer davanti ed una chitarra in braccio.
Sta suonando e ogni tanto scrive qualcosa con la tastiera. Con il mouse fa partire la registrazione. Microfono e chitarra sono collegati ad una scatoletta grigia collegata, a sua volta, al retro dello schermo.
Suona il telefono ed è costretto ad interrompere, sbuffando. Risponde. Dall’altro capo del filo si scusano per il disturbo domenicale ma si tratta di una cosa breve e urgente. L’uomo risponde che non c’è alcun problema. Parlotta un po’. Alla fine saluta e riattacca. Pensa che i problemi più urgenti, sono sempre i più semplici da risolvere.
Si volta verso la cornice sul lato destro della scrivania e si ritrova ad osservare, ancora una volta, la foto al suo interno.
C’è un lui di un paio di anni più giovane.
Pensa che, tutto sommato, non è cambiato molto.
Dalle sue spalle, calano due gambe e sopra la propria testa ne vede un’altra. Gli occhi sono i suoi, le trecce sono di un nero identico a quello che conosce bene, per tutte le volte che ci ha tuffato il viso negli ultimi anni. Delle mani si reggono alla testa. Avvicinandosi, nota che intorno alle unghie sono un po’ mangiate. Quasi fosse un segno distintivo della famiglia.
Sorride e pensa che, in fondo, è cambiato tanto, negli ultimi anni.
Quello che lo ha sempre colpito di quella foto, ricordo di una giornata all’aria aperta, è sempre stato l’occhio che il fotografo ha usato. O meglio, l’occhio della fotografa. In quella foto c’è tutto lo sguardo di lei.
Lo stesso sguardo che ricorda lei aveva una sera di tanti anni prima.
Erano sdraiati sul letto e lei lo guardava in quel modo: come se quello fosse lo sguardo definitvo, come se nessun altro lo avrebbe mai guardato così in futuro. Era quello sguardo che, malgrado tutto, gli dava forza in quel momento.
Era una serata strana: di promesse non accettate, di desideri repressi, di sofferenza. Ma erano anche risate e scherzi. Come sempre. Il suo modo di sdrammatizzare lo portava a cercare di farla ridere e di ridere con lei. Non voleva sminuire l’importanza delle cose dette; voleva, soltanto, allentare un po’ la tensione.
In quel momento sembrava che tutto stesse finendo. Malgrado gli abbracci, i baci, le carezze, il bisogno rivelato con gli occhi, i gesti o le parole.
In quei giorni ogni saluto era stato l’ultimo e non potrà mai scordare il terrore di perderla; o la paura che le cose andassero in una direzione nella quale a lui era vietato andare; oppure il sentirsi bloccato in una situazione senza via d’uscita.
La paralisi data dalla sensazione che il suo futuro sarebbe stato compromesso inevitabilmente per errori commessi in passato.
I suoi pensieri vengono interrotti dal rumore della porta che si apre.
Distoglie gli occhi dalla foto e fa in tempo a salvare quanto registrato prima che, la bambina della foto, arrivi di corsa e gli salti in braccio. Con la bocca sporca di gelato ed un quadrifoglio in mano: “E’ per te! Porta fortuna!”, urla, abbracciandolo.
La ringrazia con un bacio sulla fronte.
Dopo pochi istanti, ecco quello sguardo entrare nella stanza e lui pensa che la fortuna lo ha già premiato anni prima.
E nessun portafortuna potrà mai incrementarla.
E nessun piccone potrà mai abbattere la solidità del muro di quelle sensazioni…neanche dopo tutti quegli anni.

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